Vincenzo Frassia descrive la diocesi di San Marco: 31 ottobre 1578


         Secondo Vincenzo Frassia, che aveva ricoperto la carica di Vicario generale dal 1571, anno della sede vacante per la morte di Organtino Scarola, per tutto il periodo dell'episcopato di Ippolito Boschi e fino all'arrivo del successore Matteo Guerra nel 1576, la diocesi era stata orientata ai sensi di equità e rettitudine proprio grazie alla sua azione pastorale. Stilato in un italiano del tardo '500, il racconto ha bisogno di qualche adattamento al linguaggio odierno. Il testo originale si trova in T. Caruso, Il sinodo di Teodoro Fantoni, Roma 2006, 145-147




«Memoria di alcune cose degne di considerazione che il Dottore Vincenzo Frassia Arcidiacono di San Marco ha fatto nel tempo in cui è stato Vicario  generale in quella Città

Nell’anno 1571, essendo stato eletto dal Capitolo Vicario per la morte di Organtino Scarola Beata Memoria Vescovo già di San Marco, ridusse i preti greci a celebrare Messa in altare portatile e a dover usare il corporale e la palla, avere il sacro fonte battesimale, rinnovare ogni anno il Crisma e gli oli santi e usare le cerimonie della santa Romana Chiesa nel battezzare perché costoro pervertivano queste cerimonie e non realizzavano la forma del battesimo.
Eliminò una cattiva abitudine che avevano tutti gli Albanesi e clero greco di mangiar carne tutti i giorni della penultima settimana di Carnevale, senza osservare il mercoledì e venerdì, dicendo volgarmente che facevano ‘Sorci parci’ (Horci parci?) e li obbligò ad osservare il mercoledì da non mangiar carne e il venerdì da tutti i cibi di grasso.
Volendo il magnifico Pietro Antonio Gonzaga di detta città usurpare gran parte di un territorio chiamato il Curso della Mensa episcopale di detta città per sue presunte ragioni venendone di fatto in possesso grazie al suo potere, il Vicario invocò Il Braccio secolare e lo rimosse da quel possesso, facendo rompere gli aratri e dichiarando scomunicati tanto il suddetto Pietro Antonio, che i suoi Coloni. E mai furono assolti finché mediante pubblico documento non dichiarò che quelle terre erano della Mensa episcopale e che egli non aveva alcuna competenza per nessuna ragione.
Ed esercitando questo ufficio per i 14 mesi, di sede vacante ridusse i preti al casto vivere, avendo preso in flagrante con loro concubine Don Giovannello Frag[?]no, Don Pietro Paolo Crapino, il diacono Paulo Caldararo ed il suddiacono Giovanni Domenico Combitano di questa Città. Avendoli puniti con lungo Carcere, diede un esempio del buon vivere agli altri. Essi poi  furono graziati dal Reverendissimo Boschi, che nel frattempo era stato fatto vescovo di quella città.
Essendo in seguito stato creato vicario dal Reverendissimo Boschi esercitò questo ufficio - sino a che il suddetto non rassegnò le dimissioni e ebbe l’episcopato di Foligno - per 3 anni. Avendo due volte in questo periodo di tempo, una in presenza e l’altra in assenza di vescovo, visitato la Diocesi la riportò a buona riforma, eliminando molti cattivi costumi che vi regnavano, come appare  dai registri delle Visite da lui fatte.
Al tempo della medesima Visita pose concordia tra le famiglie de Aloe e de Amici della Terra di Bonifati, tra le quali regnavano remote inimicizie e i condusse a stringere legami di parentado fra loro e cessarono in tal modo dette inimicizie.
In questo tempo essendo un tale Ferrantazo Greco costituto in sacris ed avendo commesso molti omicidi, dottore di strada ed armato insieme ad una comitiva di fuoriusciti, era scomunicato e bandito dalla Corte episcopale, e con il sostegno del regio Avvocato fiscale di quella Provincia fu giudicato e commissionato dalla regia Corte in persecuzione de fuoriusciti presupponendo non essere del Clero se ne andò in compagnia di gente in S. Marco passeggiando armato innanzi al Vescovo e per dispetto andando in Chiesa nel momento in cui si celebravano le Messe, Perciò il Vescovo usando alcune diligenze lo prese Carcerato, e benché dalla Regia Corte per via indiretta le fosse impedito il corso della giustizia, alla fine fu da quella indotta a dargli il degno castigo. Avendolo due volte tormentato benché non confessasse nemmeno durante la tortura, in seguito al processo lo condannò in galera
In questo tempo processò Cesare de Dominicis per omicidio e per aver celebrato et ottenuto beneficio di cura d’anime persistendo nell’irregolarità, Ma poiché il detto se trovava in funzione di commissario di spoglio, il Reverendissimo Nunzio di Napoli in virtù del Motu proprio di Nostro Signore, convertì la remissione di detta causa, che essendo rimessa nelle difese date al detto Cesare, furono richiesti Caracciiolo Maisetta, Ferrante Matt[?]ne ed Andrea de Coppa testimonj che deponevano in coscienza contro il detto Cesare; ma quelli persuasi e minacciati da parte del Cesare ritrattarono la loro prima deposizione.  Venuto a conoscenza di ciò, il Vicario per proprio onore suo e perché non fosse disattesa la giustizia, li fece carcerare e a loro spese li mandò a Napoli prresso il Reverendissimo Nunzio dal quale furono sottoposti ai tormenti i suddetti Caracciolo e Ferrante ed avendo ratificata la loro prima deposizione revocando la seconda come derivata da persuasione (=plagio?),, furono condannati da detto Reverendissimo Nunzio in galera e il detto Andrea fuggì dalle carceri di Napoli prima che potesse essere tormentato.
Per detta rassegnazione fatta dal Boschi il vescovato fu affidato al Reverendissimo Guerra di Beata Memoria. il quale si servì di Messer Filippo Guerra suo fratello per suo Vicario e per la morte di detto Reverendissimo Guerra - in sede vacante - fu nuovamente eletto Vicario dal Reverendo Capitolo esso Vincenzo e confermato poi dal Moderno Vescovo sin che di spontanea volontà per venire in Roma dimesse l’ufficio predetto, nell’esercizio del quale tra le altre cause di qualche importanza gli sono successe le seguenti.
Don Marzio Guerra, nipote del detto Vescovo, al tempo in cui morì il Vescovo con un coltello lacerò un’immagine della gloriosissima Vergine il che venendo a conoscenza del Vicario subito ne prese informazione e lo carcerò, dandone avviso agli Illustrissimi  del Santo Uffizio ai quali mandò copia del processo e da quelli poi fu ordinato al Vescovo attuale quello che avrebbe dovuto fare ed eseguire.
Prese in flagrante con loro concubine il diacono Marco Mazziotta e il diacono Giovanni Battista Sansosti, dei quali Marco fu da detto Vicario condannato a servire due anni in un monastero e Giovanni Battista a sei mesi di carcere e altra pena pecuniaria da applicare pio loco; le donne furono condannate alla frusta e bandite della Diocesi.
Prese carcerato un certo fra Lorenzo di San Biagio, professo del’ordine di San Francesco di Paula, il quale fatto apostata prese moglie nel territorio di Cirella,
Prese carcerato un certo frate Arcangelo alias fra Catanzo d’Altomone dell’ordine dei Predicatori il quale era stato in mezzo a tutte le brigate che si facevano da parte dei fuoriusciti in Calabria nell’anno ‘76 e il ‘77 e da se stesso nel detto anno 77. compose in nome dei fuoriusciti  con 700. (o 200?) scudi 30. navigli che caricavano del vino in Cirella. Unitamente ai processi sono stati da lui consegnati all’attuale Vescovo, nonostante che da alcuni fuoriusciti al detto Vicario fosse stato intimato che liberasse il suddetto frate Arcangelo.
Essendo stato lasciato un legato ad pias causas di due mila e cinquecento scudi nella terra de Cirella, fatto da Napoletane de Napolleone di detta Terra adveniente condussero gli eredi ab Intestato dal detto Napollione della Corte temporale se fecero mettere in possessione di tutte le sostanze lasciate dal detto Testatore escludendo i detti Legati e essendo richiesto il detto Vicario dall’Università di detta Terra di Cirella,  vi andò e vi rimase circa 20. giorni fino a che seruatis seruandis invocato brachio seculari mandò in esecuzione il detto Legato ad pias causas convertendolo a maritaggio di 4 donne, costruzione di un campanile e due campane edificazione e dotazione di due cappelle, una nella chiesa matrice e un’altra nel monastero di quella Terra, secondo le disposizioni di detto Testatore, nonostante le minacce delle parti veniente ab Intestato.
Vi sarebbero molte altre cose degne da riferirsi, che sono avvenute nello spazio dei 5 anni in cui ha esercitato detto Ufficio di Vicario generale, ma per brevità si tralasciano. E finalmente avendo sponte dimesso l’Ufficio e dato conto per tutto il tempo della sua amministrazione, non è comparsa persona alcuna che si lamentasse di lui o porgesse querela Per cui ne ha conseguito la liberatoria con la dichiarazione della sua buona amministrazione, come appare dalla copia in autentica forma sub Datum Sancti Marci In Episcopali palatio sub die ultimo Mensis Octobris 1578.

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