Roma, 9 dicembre 2010
Antichi SMS su vetusti cellulari, lapidei:
iscrizioni latine su monumenti romani
Prof. Tonino Caruso
Carissimi Amica/Amico,
avrai senz’altro avuto occasione – qualunque siano i
tuoi interessi culturali, legati o meno allo svolgimento della tua professione
– di visitare un monumento storico o un’opera d’arte in genere.
Di fronte ad essa avrai pure espresso un giudizio di
valore, con una certa sicurezza e competenza, affermando: «è bella», «è
sproporzionata», «è monumentale», «mi piace», «non è fatta per i miei gusti» e
via di questo passo.
Servendoti di una guida turistica, avrai poi trovato
conferma alle tue impressioni, che hai magari spesso dovuto sfumare,
semplicemente approfondendo l’argomento, mediante una lettura più attenta della
paginetta ad essa dedicata.
Ad un certo punto però – a meno che tu non sia uno
specialista della disciplina e militante nel campo – ti sarai inceppato di
fronte all’iscrizione in latino.
Quanto a leggere il testo invero, l’impresa non è delle
più difficili e chiunque può cavarsela senza disonore, eccetto il caso forse di
dover giudicare quando un segno ‘V’ sia da interpretare come consonante ‘v’ o
non sia piuttosto da intendere come vocale ‘U’, per il gruppo ‘TI’ quando vada
letto ‘ti’ e in quale caso invece ‘zi’ ed infine l’incontro delle vocali ‘AE’
‘OE’, se sia da considerare dittongo da leggere ‘e’ o vada distinto in due
sillabe, come in pochi casi. Resta ancora il problema della collocazione
dell’accento tonico sulle parole, ma con ciò siamo già nel dominio della
prosodia e della metrica.
Di fronte a certe abbreviazioni però e, di sicuro,
dovendo interpretare le date - giorno e mese innanzitutto e anno quanto a
pronuncia - avrai senz’altro incontrato difficoltà; sempre che sia stato animato
da coraggio sufficiente per cimentarti - da solo o in compagnia - in simile
lettura. Ma probabilmente hai rinunciato già in partenza a tale iniziativa e
non ti sei minimamente avventurato neppure in un semplice tentativo,
ritenendolo cosa troppo ostica per te.
Anche a questo proposito, una guida può fornire un
valido aiuto per comprendere l’evento e la sua narrazione, ma – si sa – una
guida deve essere d’un linguaggio corretto e scorrevole, direi forbito! In
quanto tale, offrirà il senso esatto, ma non potrà indicare il metodo per approdare
a quel risultato; non sarà in grado di insegnarne tutti i passaggi, partendo ad
esempio da un’analisi letterale dell’iscrizione.
Presentazione
Ogni lingua è innanzitutto governata da un sistema di leggi
da comprendere e considerare al suo interno, per rendere adeguatamente i
concetti. Sarebbe un errore pensare che - per un anglofono - la domanda: How old are you? sia da rivolgere
esclusivamente ad una persona molto avanzata negli anni, giacchè 'old' richiama
il concetto di 'vecchiaia' e sarebbe offensivo parlarne ad un giovane. La
medesima questione vien abitualmente rivolta, al contrario, anche ad un
bambino di cinque anni, senza correre il rischio che costui si offenda per
la domanda postagli.
Viceversa, se al medesimo anglofono si chiedesse: Quanti
anni hai?, egli commetterebbe un errore, se pensasse che debba effettuare
la stessa operazione - magari aprendo il portafogli - di quando gli fosse stato
chiesto: 'Quanti biglietti da 100 € hai?'. Il senso delle espressioni prese nella
loro interezza supera quello dei singoli elementi da cui sono composte.
Si comprende come con i medesimi elementi lessicali
e gli stessi costrutti sintattici si possono esprimere cose completamente
diverse o diametralmente opposte, nel rispetto delle leggi di ciascuna singola
lingua.
La stessa cosa avviene ovviamente per i testi
latini.
In epoca 'Sessantottina' si dichiaravano muti, ma
semplicemente a causa della loro ‘morte’, cui – si diceva – erano ormai stati
destinati, poiché l'uomo non li capiva più. In condizioni funeree non potevano
certo parlare e l’uomo non sapeva servirsene per dialogare con il mondo del
passato.
Questa definizione - e relativa spiegazione - mi ha
fatto spesso pensare al mastodontico errore commesso dall’uomo e registrato
nella favolistica antica; in primis il greco Esopo, cui fanno seguito il
latino Fedro e il francese La Fontaine, a proposito della cicala e della
formica.
In una visione eziologica, si osserva chiaramente
che nel periodo invernale la felice te,ttix( cioè la cicala ritenuta beata secondo una famosa
anacreontica (cfr makari,zome,n se( te,ttix, ti dichiariamo beata, o cicala! anacreontica n.
34) non si ode più, mentre la laboriosa mu,rmhx( cioè la formica, è sempre
presente, in continua attività. Qual è il motivo? secondo l’uomo
arcintelligente e onnicompresivo, la formica con la sua preveggenza ha
accumulato provviste per l’inverno, si è nutrita e sopravvive. La cicala invece
nella sua pigrizia ha pensato solo a cantare, trovandosi perciò a corto di
viveri ed è morta di fame. Beffa su beffa, oltre a denigrare la povera cicala,
si attribuiva alla formica un’attitudine di avarizia, di incomprensione e
compiacimento acuiti dalla risposta sarcastica, efficacemente espressa dal
binomio cantare e ballare, tipico del Moulin Rouge: «Allora hai cantato? nuni. loipo.n ovrch,sasqai qe,lhson( adesso completa il resto dell’opera con il danzare!».
Quanto sia diversa la realtà, per ambedue, ora lo
sappiamo molto bene.
Per sua natura la formica è presente in tutte le
stagioni; per sua natura la cicala è visibile solo nella stagione estiva; non
canta per pigrizia, né per superficiale spensieratezza.
Anzi ciò che l’uomo interpreta come canto è solo la
vibrazione dei timballi: funzione che il solo maschio esercita per richiamare
la femmina, la quale non canta affatto.
Sia l’uno che l’altra si nutrono regolarmente, non
certo vivendo di semplice rugiada, come vorrebbe un’altra favola di Esopo (n.
195) e compie il suo ciclo vitale, seguendo a puntino la sua natura.
La favola narra come l’asino voleva imparare a
cantare alla maniera delle cicale e s’informò su cosa mangiassero; esse
rispondono: «dro,son, rugiada», non sappiamo se per beffa o per sincerità
(ovviamente nella convinzione dell’uomo). L’asino credulone seguì questo regime
e morì per denutrizione! Anche secondo l’anacreontica 34 citata, alla cicala
basterebbe tuttavia un modesto sorso di rugiada ovli,ghn dro,son pepwkw,j,
bevendo soltanto un po’ di rugiada, per dedicarsi poi alla sua attività canora.
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