La Cronistoria di Salvatore Cristofaro

La Cronistoria di Salvatore Cristofaro

e a proposito dell'epigrafe di  Giuseppe Cristofaro

 (nota al Sito di Paolo Chiaselotti; Parigi 7 agosto 2017)

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Quando un Sammarchese può vantare il possesso d'un esemplare della Cronistoria di Salvatore Cristofaro, pensa di essere un privilegiato. Ma ci si può imbattere in due stampe diverse di questa Cronistoria. Un mio amico al quale qualche tempo fa avevo chiesto se la possedesse e - in caso affermativo - se la prima o seconda edizione, affermò con un certo orgoglio: “Le ho tutt'e due", considerando visibilmente raddoppiata la sua fortuna. 

Difficilmente però anche questo 'ricco possidente' si sarà reso conto delle difficoltà che incontrerebbe, se gli toccasse valutare l'esattezza di una qualche notizia riportatavi. Non mi riferisco all’intero contenuto, ovviamente, ma ad alcuni casi, tuttavia di decisiva importanza, come ho sperimentato per i miei studi.

Esaminiamo il problema. Uno dei due volumi riporta stampato l’anno 1900 sulla copertina, mentre al suo interno, sul frontespizio, presenta il 1898. Si tratta allora della prima pubblicazione, composta da due parti e a paginazione unica di 295 pagine. È stata certamente vista da Salvatore dopo la stampa, e vi ha pure annesso una carta non numerata di Errata-corrige.

Il catalogatore vaticano, nel compilarne la scheda, ha utilizzato la data del frontespizio.

Circola però anche un secondo volume: ecco perché qualcuno si gloria di possederli entrambi. In questo caso l’anno di stampa sulla copertina è il 1932, mentre quello sul frontespizio è 1926, con una discrepanza di sei anni. Curiosamente per ambedue, l’anno della copertina è maggiore rispetto al frontespizio.

Questa volta il catalogatore vaticano, discostandosi dal precedente o agendo diversamente dalla prima volta se fosse il medesimo, ha scelto l'anno di copertina nel preparare questa seconda scheda. Nello schedario BAV si ha dunque 1898 per l’una e 1932 per la seconda opera.

Questo volume del 1932 costituisce una successiva edizione, che non si dovrebbe definire tale, in quanto così non è dichiarato nella pubblicazione, ma sarebbe addirittura la terza, se ne spuntasse fuori una intermedia, quella da supporre in base alla fugace notizia, che cioè una certa ‘ristampa' sarebbe già stata corretta, come si vedrà più oltre.

Il volume si apre con una presentazione del nipote del canonico Salvatore, l’Avvocato Francesco con medesimo cognome, inserita fra la coperta, datata appunto 1932, e il frontespizio datato invece 1926, come già detto! Questa disposizione inusuale suscita qualche perplessità, perchè sia sulla copertina che sul frontespizio l'autore principale è solo Salvatore, senza collaboratori. 

Per giunta tale prefazione (che Francesco però non chiama né presentazione, né prefazione) è datata solo con ‘25 ottobre, Anno IX’, corrispondente perciò all’era del Fascio, esattamente al 1931 post Christum natum, che non si accorda con la data del frontespizio, nè con quella della copertina.

Questo volume, oltre a contenere le due parti stampate nel 1900/1898, cioè le origini del centro abitato e la serie dei vescovi, include la terza parte, una serie di Appendici attribuibili a Salvatore, poiché alla fine del volume precedente aveva annunciato di aver già consegnato ai torchi tipografici la ‘Parte terza’, riconducibile appunto a queste Appendici.

Per questo volume 1932/1926 va infine osservato che si ha una nuova composizione tipografica quanto alla prima e seconda parte precedentemente pubblicate e le originarie 295 pagine diventano 230, a causa del formato maggiore e carattere diverso. Sarebbe stato pertanto più semplice - e doveroso - considerarla nuova edizione e numerarla come seconda, con correzioni e aggiunte, facilitando la ricerca allo studioso.

Non viene tuttavia apportata alcuna aggiunta rispetto al passato, fenomeno visibile soprattutto nella parte seconda, laddove sarebbe stato facile intervenire. Essa riguarda infatti la Series Antistitum di San Marco, che nel primo volume si arrestava alla descrizione dei primi due anni di Mons. Vincenzo Ricotta. In tempi reali, poiché questi era stato eletto nel 1896 e al momento della pubblicazione del volume era effettivamente trascorso solo un biennio. 

Qui si riporta il medesimo testo della prima, mentre si sarebbe potuto sviluppare l’intero presulato di Vincenzo Ricotta (1896 - 1909) e aggiungervi magari anche quello del successore, Salvatore Scanu, eletto nel 1909, e si sarebbe in tal modo aggiornata l’opera fino al 1931, dal momento in cui risulta chiusa nel 1932, secondo la data della copertina.

La parte nuova di questo volume ha titolo: “Della Cronistoria di S. Marco Argentano parte III – Tempi moderni” ed è paginata autonomamente, 1-160; suddivisa in varie Appendici. Una difficoltà ulteriore per lo studioso, che nel citare l'opera di Salvatore Cristofaro, non può limitarsi a fornire il semplice titolo Cronistoria e il numero di pagina. Dopo il titolo generale, Cronistoria, va necessariamente precisato in quale delle due sezioni ci si trova, poiché paginate autonomamente: 'Parte Prima e Seconda', p. 1-230; ‘Parte Terza’, di nuovo p. 1-160.

Grave inconveniente per il lettore e lo studioso, dicevo. Tuttavia questo inghippo suscita una questione fondamentale più seria: qual è l’effettiva responsabilità di Salvatore in questa seconda stampa del 1932? anzi è ancora opera di Salvatore? è ancora vivente al momento di questa stampa? ha costui visto l'opera completata? Soprattutto come mai già nel 1898 aveva assicurato che la Parte terza era nei torchi, mentre constatiamo che ne esce solo nel 1932? E inoltre qual è il ruolo del nipote Francesco, che ha aggiunto la presentazione?

In una di queste Appendici, mentre Salvatore è in atto di narrare un episodio accadutogli tempo addietro in Municipio (non è chiaro se nella città di Napoli o a San Marco?), all'improvviso nel testo è inserita la nota fra parentesi tonde  'allora vivente' (cfr Terza parte, p. 153). La cosa disturba enormemente, perché indica un'evidente inserzione d'altra mano nel testo di Salvatore, dovuta ad altra persona. Dunque in quel momento Salvatore era già defunto, ma quando fu inserita la nota? di anni possibili per questa operazione ve ne sarebbero tre: 1926, 1931 e 1932!). Ciò che è presentato come testo suo, cioè di Salvatore, secondo l'autorità di copertina e frontespizio, era stato invece rimaneggiato da qualcun altro, verosimilmente dallo stesso nipote. E siccome in questo caso non l'ha precisato, si rimane nel sospetto che l'abbia potuto fare chissà quante altre volte, sempre non dichiarandolo, provocando sconcerto nel lettore.

Curiosa poi l'annotazione con asterisco in calce a p. 122 della Terza parte. Vi si dichiara: "Le note a cui si riferisce l'autore riguardano la 1. edizione della Cronistoria che, del resto si possono riscontrare nella ristampa"! Le ‘note’ non son da intendere come citazioni a pie’ di pagina, ma nel senso di autentiche integrazioni testuali, a mo’ di aggiornamenti, che costituiscono questa Appendice I, la quale occupa le p. 122-139, all’interno delle 1-160, collocata in fondo al volume, nella Parte Terza.

Questione: se questi aggiornamenti erano stati già integrati nel testo, perché sono stati riportati nuovamente qui, separatamente e alla fine? Perciò vien da chiedere se esistesse appunto una ‘edizione intermedia’, diversa e precedente a questa del 1932, che presentava un testo aggiornato? E se invece si vuole semplicemente dire che le aggiunte integrate nel testo di ‘parte prima e seconda’, cioè 1-230 si riferiscono proprio a questo stesso volume del 1932, c'è da obiettare: perché allora le ha messe una seconda volta? E chi ha curato l’operazione?

Oltre al fatto che queste integrazioni non sono state realmente effettuate a dovere, perché solo in qualche caso si può osservare un vaghissimo miglioramento del testo, è certo inconcepibile che queste correzioni riguardassero un’edizione curata da Salvatore in persona: dovrebbe supporsi allora in pessime condizioni di vista e di memoria.

Ma senza accanirci troppo sul metodo seguito per queste integrazioni, prescindendo pure dalle incomprensibili discrepanze di date fra copertina e frontespizio - ben quattro - dei due volumi descritti, si potrebbe insinuare che fra il 1898 e il 1932 vi fosse un’altra edizione intermedia, curata e corretta secondo i contenuti della Appendice I, forse dal medesimo Salvatore, di cui io non ho finora riscontro alcuno.

Ma se così fosse, significherebbe che nel 1932 circolavano già tre edizioni. La prima del 1898/1900; una seconda, non precisata, in cui Salvatore avrebbe integrato le aggiunte della Appendice I e una terza, questa del 1926/1932, appunto. 

In ogni caso, in questo volume del 1932 non si riesce davvero a stabilire esattamente l’effettiva responsabilità di Salvatore - che figura come unico autore in testa a copertina e frontespizio – e neppure quella di suo nipote Francesco, che di fatto ha scritto e datato la presentazione. Trascurato pure ogni conteggio di edizione, né quale seconda, né come terza.

Dunque il nipote Francesco, che - a giudicare dalla premessa e dalla nota nel corpo dell’Appendice cui accennavo prima - risulterebbe l’effettivo curatore, avrebbe dovuto delinearne meglio le vicende editoriali; specificare le sue intenzioni o impellenze e perché avrebbe fatto stampare nuovamente l’opera; soprattutto dichiarare se procedeva per iniziativa propria o perché associato dallo stesso zio, nel caso fosse divenuto ormai inattivo.

Precisare cioè la finalità di quel lavoro: se stampava materiali che suo zio aveva ancora (o che aveva lasciato) inediti o se, al contrario, perché vi erano errori da correggere e nuove notizie da aggiungere o infine semplicemente perché ne fossero esaurite le scorte. 

Tutte e solo ipotesi per noi attualmente, ma da elucubrare doverosamente e mettere in campo, poiché il curatore non si è pronunciato esplicitamente. In fin dei conti, se si voleva fare una nuova edizione (e non una semplice ristampa), perché non ha proceduto all’aggiornamento dei dati nell'interno del testo, visto che fu tutto rimpaginato ex novo? Perché non ha provveduto al completamento della serie dei vescovi o almeno alle correzioni e integrazioni, senza tacere il motivo per cui si era trovato a prenderne le redini: per associazione voluta dallo zio alla sua opera o per morte dello zio?

Si potrebbe avanzar l’ipotesi che lo zio avesse previsto l’edizione per l’anno 1926, con progetto e materiale non ancora completamente ordinato in maniera definitiva e che prima dell’uscita del volume sarà subentrato il nipote. Questi ha voluto lasciar invariato il periodo di realizzazione previsto dallo zio, il 1926, ma includendo tutto il materiale predisposto in via provvisoria, decidendo di stamparlo nel modo in cui si trovava. Ha infine compilato la presentazione, che ha collocato prima del frontespizio della nuova opera concepita dallo zio. Ma ormai il tempo di tale compilazione superava quello della prima, cioè periodo 1927-1931, per cui insieme all’editore ha proceduto a comporre una nuova copertina, con data 1932, anche in rispetto delle leggi sull’editoria, che imponevano qualcosa di simile.

Si giustifica in tal modo la scelta del catalogatore vaticano, che ha adottato la data di copertina: evidentemente non si poteva giustificare la presenza di materiali del 1927-1931 in un libro stampato nel 1926, come appare nel frontespizio.

Al contrario per la prima scheda aveva preferito la data del frontespizio (secondo le regole generali di catalogazione), perché la data di copertina, superiore di due anni non aveva alcuna influenza sui contenuti all’interno del volume. Ad esempio il presulato di Vincenzo Ricotta è calcolato di un solo biennio (1896-1898) e non di quattro anni, come si sarebbe dovuto fare, se si fosse considerata la data di copertina (1896-1900). Il catalogatore avrebbe comunque dovuto indicare che la copertina ha data diversa.

Negli anni 1980 poi fu nuovamente ristampata, la Cronistoria, dalla Brenner e questa volta in vera edizione anastatica. L'iniziativa – mi fu riferito – fu ancora di un nipote dell'autore, ma non so se fosse il medesimo del 1932 o di un altro ancora, né se a questo punto fosse un pronipote. 

Anche in tal caso però si opera con una certa approssimazione: si ignora completamente la faccenda della quadruplice datazione dei due volumi precedenti, nulla si dice circa un'eventuale opera corretta dallo zio (forse mai esistita) e vi si appiccica semplicemente il Copyright 1987. Ma si tratta solo di una ristampa del testo pubblicato nel 1932/1926, senza alcun ritocco ulteriore, poiché in fac-simile.

Non sarebbe stato difficile aggiungervi un aggiornamento, anche questa volta insisto per la serie dei vescovi; ma soprattutto alcune pagine di avvertenze, apposte alla fine del volume, per rilevare e spiegare le incongruenze di quell'opera del 1932.

La conseguenza attualmente è che per ogni notizia interessante o strana che si legge nella Cronistoria, ci si deve domandare: è questa affermazione di Salvatore o di Francesco? è notizia attendibile o risente della superficialità con cui hanno operato zio e nipote? E indagare infine se esista una fonte alternativa e la possibilità di verificare la loro esattezza.

Assolutamente indispensabile è poi citare l’edizione precisa, onde poter decidere a quale anno risalga quella notizia. A mia conoscenza, per ora si tratta o di quella del 1898 o di quella del 1932, tenendo conto della discrepanza della data da frontespizio più volte detta e seguendo la datazione dello schedario vaticano.

Per la prima si rimonta a Salvatore, salvo poi considerare se vi sia un errore, e verificarlo sulla Errata-corrige.

Se invece si attinge dalla seconda opera, l’attribuzione potrebbe essere di Salvatore, ma potrebbe benissimo trattarsi di un rimaneggiamento di Francesco, dal momento in cui il testo è stato totalmente rimpaginato. Non si dovrebbe fare, e qualora si intervenisse in un testo altrui, bisognerebbe dichiararlo, distinguendo bene il proprio intervento.

Qualche esempio di questo ginepraio? 

Circa l’episcopato di Ludovico Alferio, ecco il testo dell’edizione 1898:

“Promosso vescovo di questa cattedrale nel 20 marzo del 1591, nel 26 marzo del 1594 passò da questa vita nell’altra. Intervenne ad un sinodo provinciale in Cosenza nel 15 maggio 1596. Il Petta dice che Alferio amministrò la chiesa con rettitudine, e fu insigne per pietà e prudenza”, Cristofaro, Cronistoria, 1898, p. 256-258.

Medesimi testi, con stesso anacronismo, nell’edizione del 1932, p. 202-203. Né l’autore, né il nipote, si sono accorti dell’assurdità che Ludovico Alferio, morto nel 1594, avrebbe ‘partecipato al sinodo provinciale in Cosenza nel 15 maggio 1596’! mentre a partecipare al sinodo cosentino fu Girolamo Pisano. Ma come si vede nella Errata-corrige, l’errore non era stato registrato e questa era stata preparata da Salvatore. Né vi aveva provveduto il responsabile delle famose integrazioni che si dichiara essere state effettuate nella ristampa. Tutti insensibili a questo anacronismo.

Di nuovo, parlando ancora di Ludovico Alferio, si narra che, intervenuto a giudicare un episodio accaduto al convento della Riforma: "l'anno 1598 nella santa visitazione [...] verificò il fatto, e fu forza ritenerlo come miracolo", Cronistoria, 1932, p. 171, nota 1. Medesimo testo nell'opera precedente del 1898. Nessuno si è accorto che quel vescovo, quando interviene alla Riforma, era già morto da quattro anni. Anche qui, né lo zio per elencare il refuso nella Errata-corrige, né il nipote quando ha assunto la cura della ‘ristampa’.

Si dice ancora che il vescovo Antonio Migliori si era dimesso dal suo incarico a San Marco e ‘ritirato a quieto vivere’, per motivi sconosciuti e incomprensibili. È chiaro invece che nel 1588 era stato da Sisto V richiamato a Roma per dirigervi l’ospedale S. Spirito, lasciandogli pure il titolo di 'Episcopus S. Marci'. Anche in seguito, come risulta dall’iscrizione incisa su un architrave nel cortile del S. Spirito e tuttora visibile, si nominò 'Episcopus S. Marci', presumibilmente, fino a quando gli succederà Ludovico Alferio, appunto nel 1591!

Nella tavola di Errata  i refusi in cifre erano solo cinque: per quattro di essi la correzione fu efficace e si trova anche accolta nel testo dell’edizione del 1932. Per il quinto invece, di p. 130, non saprei come intervenire. Non può esistere in questo passo la cifra ‘1570’! sarebbe da trasformare il riferito ‘1570’ in una data storica anteriore, 817 o 927, ma soltanto Salvatore avrebbe dovuto risolverlo. In realtà vi è qui 'errore di stumpa nella stumpa' e la correzione suggerita va apportata non alla p. 130, come detto negli Errata, bensì a p. 133, in cui la correzione è più ovvia e ragionevole.

Notare ancora che, a proposito del vescovo Antonio Papa non può accettarsi che abbia celebrato un sinodo nel 1723. Questo errore commette Salvatore nella Parte Terza, confondendo il sinodo di Papa con quello di Cavalieri, che di fatto lo celebrò in quell’anno. Ma poi, sempre a proposito del vescovo Papa, afferma pure che non era riuscito a celebrare il sinodo, in quanto aveva incontrato tanti e tali ostacoli da parte dei cittadini di San Marco e di Belvedere, per cui ne era stato impedito!

Così scrive Salvatore Cristofaro: «Le contraddizioni della diocesi si erano per le ragioni addotte così inasprite che, avendo indetto un Sinodo diocesano ; nel 6 aprile 1686 per notar Genovesi, l’università di S. Marco e quelle di Belvedere e di Diamante protestarono contro lo Editto del Vescovo col quale avea prescritto che i laici venivano esclusi nella riunione per la lettera (sic) del Sinodo. Onde l’opera non ebbe seguito, e così restò frustrata la bontà dell’intenzioni del Prelato», S. Cristofaro, Cronistoria, 1898, p. 265-266. 

In Cronistoria, 1932, p. 208-209, si ha medesimo testo, ma con una piccola variante : ‘avea prescritto che i laici venivano esclusi nella riunione sinodale’, Cronistoria, 1932, p. 209.
Anche questa volta è ribadito che Papa non aveva potuto celebrare il sinodo, poichè – per giunta - aveva ordinato che i laici non prendessero parte all’assise sinodale.
Nella Parte terza, più precisamente in ‘Appendice I. Documenti e illustrazioni’, invece afferma : «In S. Marco furono tenuti tre Sinodi, nel 1627, dal vescovo Indelli, nel 1723 (sic) da Mr. Antonio Papa ; i due primi non lasciarono vestigia, forse perchè non furono pubblicati ; quello del 1725, tenuto da Mr. Cavaliere fu pubblicato in Roma, ed è il solo che tuttavia esiste», Cristofaro, Cronistoria, 1932, Parte Terza, p. 131. In realtà le due date 1723 e 1725 concernono sempre il medesimo sinodo di Cavalieri, il quale nel 1723 lo celebrò e nel 1725 ne curò la stampa degli atti.

E' errato dunque attribuire la data 1723 ad Antonino Papa, che era vissuto nel secolo precedente, ma è ancor più grave concludere che non avesse celebrato alcun sinodo, mentre poche righe prima era stato affermato che lo aveva fatto nel 1723.
In realtà noi sappiamo che un sinodo fu celebrato da Antonino Papa nel 1687; ne aveva preparato una copia di Atti corredate di note, presumibilmente con l’intenzione di sottoporla al giudizio della Congregazione del Concilio, nella sua imminente visita ad limina, da effettuare entro il 20 dicembre 1687. Il presule venne però a mancare nel mese di luglio e la visita a Roma non ebbe luogo. Quel fascicolo manoscritto è tuttora presente nell’Archivio diocesano, in esemplare unico, in fase di pubblicazione da parte del sottoscritto, nella collezione Scriptorium argentanum.

Ritornando all’opera del Cristofaro, in fondo la questione è chiedersi a chi fosse stata affidata la correzione delle bozze, poiché si tratta si anacronismi così evidenti e di sviste tanto madornali che potevano rilevarsi agevolmente da chiunque, senza la necessità di conoscere la storia. Bastava leggere il testo con una certa attenzione.
Per colui che si trova in possesso d’una Cronistoria del Cristofaro, si deve sapere che potrebbe trattarsi in terza ipotesi della Cronistoria ristampata da Brenner nel 1987. In tal caso nessuna precauzione particolare v’è da prendere, se non quelle già dette, perché i contenuti e la paginazione sono gli stessi dei due libri precedenti messi assieme.

Tuttavia questo ultimo caso è ancor più ingannevole, perché presenta l’inconveniente d’un volume a prima vista omogeneo e semplice, con Autore, titolo e unica data di pubblicazione, ma che in realtà è molto composito e quasi assemblato, risultato di quattro o cinque datazioni diverse!

Da parte mia non mi attenderei, per ora, altri volumi, ma quis scit? Nel caso in cui qualcuno citasse da un’edizione con altra data, consiglio di prestarvi grande attenzione e affermarlo chiaramente, soprattutto se la possedesse di persona, non limitandosi semplicemente ad un rimando quale: Cronistoria del Cristofaro, con un numero di pagina! Si contribuirebbe in tal modo a completare, o chiarire, la vicenda editoriale della Cronistoria e ad orientare meglio lo studioso nella valutazione di qualche strana affermazione riscontratavi.

A conclusione si può tracciare questo semplice iter: Salvatore cura la stampa nel 1898 e vi annette anche la Errata-corrige. Procede intanto a raccogliere notizie e produrre altri materiali. Afferma pure di esser pronto per la stampa, anzi che li abbia già consegnati ai torchi. Chissà se avrebbe stampato pure la prima parte o voleva limitarsi alla parte nuova soltanto. Né si può stabilire in quale anno avesse scritto questa nota, ma essendo stato rapito da questo mondo l’8 maggio 1912, si suppone che ciò avvenisse poco prima della sua morte. 

E si può affermare che, stando alle edizioni che conosciamo attualmente, un volume comprendente questo nuovo materiale non è mai uscito dai torchi. 

Nel 1931 il nipote Francesco Cristofaro procede a stampare il prodotto del suo avolo, curando una introduzione datata unicamente con sistema del Fascio. Forse aveva intenzione di pubblicare solo la parte nuova? Si giustificherebbe con il fatto che era stata data paginazione autonoma, forse questa sì già eseguita al tempo di Salvatore, dunque prima del 1912.

 Muovendoci ancora fra le ipotesi, bisogna supporre che fossero terminate le scorte dell’edizione 1898 e si decide a ripubblicare anche quella, in una nuova impaginazione e integrandovi anche le correzioni che lo zio aveva già raccolto e forse fatte stampare separatamente in un foglietto supplementare. 

La parte dei nuovi materiali è definita ‘Terza parte’, in quanto la precedente edizione si componeva di una prima e seconda parte. 

Nell’ipotesi che sia stata decisione tardiva - e di ripiego - quella di fondere le due opere, concepite inizialmente come indipendenti, si spiegherebbero più facilmente diverse anomalie. 

Non dovrebbero esistere problemi per la prima e seconda parte, dunque. 

Per la Terza parte invece, nel caso di errore o inesattezza, si hanno tre possibilità: in primo luogo che fosse già presente nell’autografo preparato da Salvatore stesso, dunque prima del 1912; in secondo luogo che possa appartenere alle interpolazioni di Francesco, che necessariamente devono supporsi, quando chiaramente non sono attribuibili a Salvatore; e infine che sia prodotto dal tipografo, ma solo per i refusi, perché il tipografo non potrebbe avere responsabilità sui contenuti. 

Come si diceva, sarebbe bastato un semplice correttore di bozze attento per eliminare le incongruenze.   

NB: per quel che mi riguarda personalmente, penso soprattutto alla confusione circa i sinodi celebrati, agli estremi cronologici di quello celebrato da Antonino Papa, alla ignoranza assoluta di quello celebrato da Teodoro Fantoni. E poi ancora circa l’origine della Conicella, che sarebbe di proprietà vescovile secondo Cristofaro, mentre credo che fosse di proprietà monastica, più esattamente cistercense e che solo più tardi sarebbe stata assunta dalla diocesi. 
Ma vi sarebbe ancora molto altro. 

L' Epigrafe in onore di Giuseppe Cristofaro


(suggerimento per il sito di Paolo Chiaselotti, 7 agosto 2017)
 
A proposito dei Cristofaro, digitando questo cognome, mi è apparsa l’epigrafe della Riforma da lei (hoc est Chiaselotti) pubblicata, con trascrizione e traduzione a suo nome. L'avevo notata da tempo, e volevo intervenire per suggerire qualche precisazione, ma per discrezione avevo preferito lasciare ad altri questa tache. Siccome mi pare che nessuno abbia osato infrangere le regole di politesse, perché tuttora resta immutata, mi decido a farlo, benché in ritardo.
In http://www.sanmarcoargentano.it/ottocento/epigrafi/epigrafi.htm il testo si presenta tuttora, 3 agosto 2017, in questa forma:
 

SACRIS JOSEPHI CHRISTOFARI MANIBUS
MEDICAE PROFESSORIS
DIE XIII KAL. APRILIS MDCCCXLVII
AETATIS VERO SVAE XXXIII
MVNERE VITAE DEFVNCTI
QUI
MORUM BONITATE AC INGENII CARUS
SVUORUM CIVIUM SALVTI CONSVLVIT
HEV! NEC PROFVIT SVUAE
SAXUM HOC IN MOERORIS SOLATIVM
FRATRES P[osuerunt?]. C (?)

 

ALLE SANTE MANI DI GIUSEPPE CRISTOFARO
PROFESSOR MEDICO
NEL DÌ 13 DI APRILE 1847
DI SOLI 33 ANNI D'ETÀ
DEL DONO DELLA VITA PRIVATO
CHE
PREZIOSO D'INGEGNO E DI BONTÀ DI COSTUMI
DEI SUOI [CON]CITTADINI CURÒ LA SALUTE
AHI! ALLA SUA NON GIOVÒ
QUESTA PIETRA DI DOLOR SOLLIEVO
I FRATELLI POSERO ?

 

Fin qui il testo del sito, ora qualche Osservazione

 

Circa il testo, sarebbe bene uniformare l’uso della ‘U’ in ‘V’, anche per rispetto del lapicida, dal momento in cui questa volta è stato molto accurato e preciso, a differenza di quello per De Moncada, per cui l’epigrafe risulta inficiata sin dall’inizio. E ne saranno eliminati pure i doppioni come in ’ SVUORUM’ e ‘SVUAE’, che disturban l’occhio.

Quindi circa la ricostruzione : cominciamo dalla fine. 

Il ‘P.C’ nell’epigrafia sta per ‘PONI CVRAVERVNT’, “provvidero a porre”. I fratelli si ‘presero la briga che…’ ‘fecero sì che…’ una lapide fosse apposta, per attutire il dolore, obbligandosi pure a metter mano alle loro tasche ; cosa non da poco ! Non si confonda ‘saxum’ con il ‘sasso d’un sepolcro’, che non servirebbe affatto a lenire il dolore, come auspicato nell'iscrizione, mentre è in grado di farlo un testo inciso in memoriam. Si tratta di questa modesta lastra di marmo, che non so se Foscolo definirebbe saxum.

Quanto alla forma - trattandosi del Padula - preferibile piuttosto il più classico  ‘Ponendvm curavervnt’ o ancor meglio il sincopato, più poetico e adatto all’epigrafia, ‘ponendvm CVRARVNT’ ponendvm CVRAVERE. 

Il verbo ausiliare ‘curo’ usa infatti l’accusativo e il gerundivo, più che l’accusativo e infinito passivo come si usa con altri verbi, ovviamente sempre accordato con ‘saxum’.

Circa la data ‘DIE XIII KAL. APRILIS’: non concerne il mese di aprile, poiché espresso secondo il calendario romano e devono contarsi 13 giorni prima delle calende di aprile, facendo attenzione ad includere ambedue i giorni, di partenza e di arrivo; si tratta dunque del 20 marzo, non del 13 aprile.

Rimontando, si avrebbe l’accordo del femminile ‘medicae’ con il maschile ‘professoris’ e ‘Iosephi’. Cosa inesatta: con 'medicae' va inteso ‘artis medicae’, mentre ‘professoris’ è a se stante e va interpretato non come insegnante, ma colui che esercita l’arte medica sui pazienti; appunto sui cittadini di San Marco, non di attività su eventuali alunni d’una facoltà universitaria. 

Per transennam va detto che qui si ha lo stesso equivoco di quando si parla di ‘Confessor’, riferito a chi non era nemmeno presbitero; non si tratta di qualcuno che assolvesse penitenti, ma semplicemente di colui che professò la Fede, magari subendo anche il martirio.

Più impegnativa la prima riga.

Precisando innanzitutto che Cristofaro è scritto alla maniera greca, con ‘ph’, qui si ha la chiave per l’intera epigrafe. Non si tratta di ‘manus’ (4. declinazione), ma dei ‘Manes’ (pluralia tantum, di 3.), che, porca miseria! hanno lo stesso dativo al plurale. Romolo avrebbe potuto pensarci un po’ meglio, quando ha stabilito le regole della lingua latina ed evitare qui pro quo.

L’antico termine plurale, usato per gli dèi del focolare (gli antenati), va inteso al singolare e in senso metonimico, per la persona stessa. Si può tradurre ‘Alla santa anima’ o forse preferibilmente ‘All’anima benedetta’, per non rischiare di voler canonizzare un medico dei Cristofaro (se si dicesse ‘alla santa anima’) o di effettuare un rito esecratorio nei loro confronti (se si dicesse ‘benedetta anima’), oppure semplicemente ‘Alla santa memoria di…’.

Si tratta di un medico condotto (di base o di famiglia, nella terminologia attuale), che si è tanto prodigato nell’esercizio della sua professione per i cittadini di San Marco, evidentemente incluso lo stesso Padula, sammarchese d’adozione.

Mi permetto di suggerire tali precisazioni, perché diversamente risulterebbe svilito un testo in realtà più aderente alle espressioni epigrafiche. Che non si pensasse alle semplici mani di un chirurgo, sia pure tanto abile, da risultare prodigioso in camera operatoria!

Sarebbe un onore per San Marco, ma dall’epigrafe di certo non lo si evince.

 

Testo definitivo

 

SACRIS JOSEPHI CHRISTOPHARI MANIBVS
MEDICAE PROFESSORIS
DIE XIII KAL[ENDAS] APRILIS MDCCCXLVII
AETATIS VERO SVAE XXXIII
MVNERE VITAE DEFVNCTI
QVI
MORVM BONITATE AC INGENII CARVS
SVORVM CIVIVM SALVTI CONSVLVIT
HEV! NEC PROFVIT SVAE
SAXVM HOC IN MOERORIS SOLATIVM
FRATRES P[ONENDVM] C[VRAVERE]
 

 

ALL’ANIMA BENEDETTA DI GIUSEPPE CRISTOFARO
MEDICO DI PROFESSIONE.
IL 20 MARZO 1847
A 33 ANNI D'ETÀ
DEL DONO DELLA VITA PRIVATO.
EGLI CHE
RICCO D'INGEGNO E PER BONTÀ DI COSTUMI
PROVVIDO FU PER LA SALUTE DEI SUOI [CON]CITTADINI
MA NULLA, AHIME’! POTE’ PER LA PROPRIA.
QUESTA LAPIDE A SOLLIEVO DEL DOLORE
I FRATELLI VOLLERO AFFISSA