Biblioteca Vaticana: un’opera in Riserva. Medice, cura teipsum!


di Tonino Caruso

Advertendum:  Per immagini BAV, copyright riservato

arcbibliocaruso@gmail.com
arcbibliocaruso@yahoo.it
+39-3384701663
14 maggio 2021

Un’opera in Riserva! in una biblioteca? 'Beh, cosa c’è di straordinario e di interessante'? potreste obbiettarmi.

Seguitemi, perché comincio dallo Antefatto. Esattamente come avviene nel preparare un copione per un film o nel creare un intreccio per un libro di narrativa.

Una mattina, fra la pubblicità di Yahoo, mi appare un volume settecentesco d'occasione, in antiquariato. Aveva delle belle illustrazioni, che ne facevano lievitare prezzo e valutazione. Fra l’altro, l'illustrazione d'un asino, accompagnato dal suo padrone. 

Era un trattato medico-botanico di Pier Andrea Mattioli. 

La mia questione: cosa ci sta a fare un asino in un trattato di erbe terapeutiche? Poi ne apprendo il motivo. All'interno delle zampe dei quadrupedi si formano dei calli o meglio delle cicatrizzazioni da ferite, a causa dello strofinio nei loro movimenti; la loro crosta era usata a scopo terapeutico.


Pier Andrea Mattioli. Illustrazioni da un'edizione del XVII secolo

Cerco notizie su Mattioli: un medico del Cinquecento, vissuto - fra l’altro - alla corte del vescovo di Trento. L’opera sua viene annunciata come il non plus ultra per gli scienziati della sua epoca.

Ma perché ristamparlo ancora nel ‘700, come fosse un prontuario medico? 

Improvvisamente mi rendo conto che avevo letto quel nome tante volte, in particolare in un libro di Francesco Borsetta stampato a Torino nel 1955, Per curarsi con le erbe, acquistato da mio padre, la cui lettura era stata la delizia nei miei anni d'adolescenza, e che conservo tuttora. Nella premessa Borsetta inserisce un brano di Mattioli, il quale figura fra i maestri, ritenuto molto autorevole.


Il volume di Francesco Borsetta, Torino 1955 

Ovviamente cerco nel catalogo online della BAV e trovo un Mattioli, che si annunciava molto voluminoso, a giudicare dal numero delle pagine.

Qui casca l’asino! Quel che mi appare non solo non è un'opera cinquecentina, contemporanea al suo autore, ma nemmeno settecentesca, come quella offerta in vendita d’occasione. 

Questa della BAV riporta l’anno 1977. Stupore! Un Mattioli ancora nel 1977? 

Ma perché il Coronavirus non si è sviluppato in quegli anni, così avremmo avuto un consiglio di fitoterapia risolutivo, come propone per numerosi malanni? Altro che Astra Zeneca, Pfizer, Moderna o Johnson & Johnson! 

Ma attenzione a non distrarsi. 

Il Mattioli del 1977 alla BAV era custodito in Riserva! Per di più si trattava di una ristampa anastatica e si indicava pure l’edizione da cui era stata riprodotta: Vincenzo Valgrisi, Venezia 1568. 

Dunque mi domando: c’è questa edizione originale alla BAV? Ebbene, la trovo in catalogo, nel fondo Chigi. A questo punto, stupore sommato a stupore! come mai la sua tardissima ristampa anastatica è gelosamente custodita in Riserva, mentre l’originale è in magazzino? In genere avviene il contrario. Più oltre offro una foto significativa circa le miserabili condizioni di questo originale, nella speranza che qualcuno si proponga come sponsor per ricostituirlo in libro decente! 

A più riprese mi frullava in testa la questione del Mattioli, ma in quel momento ero impegnato a studiare il calendario cristiano antico, con la speranza di rintracciare il nome di S. Erymni.  

In Archivio Vaticano avevo trovato infatti alcune relazioni ad limina provenienti da una diocesi intitolata a quel Santo, ma il cui nome oggi non si trova applicato più né per una città, né per la diocesi; e neppure per un individuo, appunto il Santo in carne e ossa. Sparita la diocesi, sparito completamente pure il nome del santo. Eppure c'è da scommettere che, se il suo nome era stato adottato per titolo d'una diocesi, colui doveva ricoprire una rilevante importanza nel calendario dei tempi trascorsi, come pure nella devozione popolare. 

Mi ero immaginato un procedimento storico-toponomastico analogo a quello di ‘Sancti Marci’, laddove il nome dell’evangelista Marco è applicato prima di tutto al centro urbano e quindi alla diocesi colà ubicata. Ma mentre la realtà ‘Sancti Marci’ era tale nel passato ed esiste tuttora, con le tre applicazioni: Individuo, toponimo e titolo diocesano, di S. Erymni (scritto anche con grafie diverse) invece assolutamente più nulla, nell'epoca attuale.

Di fronte a questo cruccio storico tanto spinoso, si capisce bene come il problema del Mattioli restava in secondo piano, come idea peregrina nella mia mente, benché ben piazzata come chiodo fisso o piuttosto come punteruolo in azione. 

Tuttavia, di tanto in tanto, non disdegnavo d'importunare il personale di Sala per domandare - sempre di sfuggita - come fosse possibile che la ristampa moderna di un’opera fosse in Riserva e il suo originale no!

Le risposte erano ovviamente abbastanza omogenee, del tipo: ‘Ha ragione lei a porsi la questione…, Dal catalogo risulta proprio così…, Non abbiamo risposta..., Bisogna richiedere l'opera’!

Il personale è soggetto ad un avvicendamento di turnazione, per cui non saprei più a quante persone abbia posto quella medesima domanda. Niente da fare! Bisognava esaminare il volume.

Ma io ero impegnato con il Santo sparito e non avrei potuto dedicare molto tempo al volume di Mattioli. Oltretutto non volevo far pesare sul personale un lavoro supplementare per pochi attimi, cioè far prelevare un’opera su cui avrei lavorato poco e semplicemente per soddisfare una banalissima mia curiosità.

Si riduceva in fondo a soggetto di biblioteconomia. Ma ripugnava pure l'ipotesi d'una distrazione attribuibile agli addetti alla conservazione, per questa anomalia della Riserva. 

Passò ancora qualche giorno e finalmente mi decisi a domandare il volume, l’11 marzo 2021 scorso. Di tanto in tanto andavo a verificare al banco di distribuzione, in attesa del suo arrivo. Finalmente comparve: in-folio, in due tomi, rilegati in marocchino. Sulla coperta, incastonata nella rilegatura, una tavola d’argento incisa o piuttosto realizzata a fusione, diversa per i due piatti. 

La preziosità di questo materiale metallico poteva già rendere sufficiente ragione a mio avviso - della sua custodia in Riserva. 

Ma non era così, perché avendo voltato la coperta, mi si presentò un breve testo in oro, inciso nel foglio di guardia, pur’esso in marocchino. Balzò agli occhi il prestigio del nome: ‘Ioannes Paulus II’ (ovviamente al genitivo) e dal tenore di ‘Ex libris’. 

Un volume di proprietà di Giovanni Paolo II richiedeva ancor di più la sua conservazione in Riserva! 

Ma a fianco, dunque nel verso del piatto, una targhetta cartacea incollata avvertiva che quelle tavole d’argento erano opera unica, eseguita da Lucovich in esemplare apposito e da lui firmate. 


BAV. Mattioli 1977, lastra d'argento del tomo I




BAV. Mattioli 1977, lastra in argento al tomo II

Fin qui il merito di questo volume per albergare in Riserva era triplice: le tavole nella coperta (in argento), la loro unicità assoluta garantita dall’incisore (scultore famoso, con propria firma), il possessore prestigioso (il papa ‘venuto da lontano’). 

Tutto spiegabile, e perciò da giudicare come evidente gaffe il fatto che il conservatore lo avesse destinato in un primo tempo al magazzino comune, nel ‘reparto medicina’. Si possono infatti vedere  ambedue le segnature, perché la prima è stata poi semplicemente annullata con tratto di matita, ma lasciata ben leggibile, accanto alla nuova.

Interviene subito un fattore inquietante: nelle parti esteriori vi sono segni di diuturna usura. Non si tratta di guasti accidentali, come quelli risultanti da lavoro di operatori maldestri o causati da una caduta per inavvertenza. Non è rotto, è usato! 

Spontanea per me la boutade: ‘Si capisce ora, perché Giovanni Paolo II preferiva non uscire dal Vaticano: si dilettava sfogliando questo librone, per scoprire le piante medicinali!’. Un assistente di sala, rispondendo a tono, confermò con brio: ‘Difatti Giovanni Paolo II conduceva vita molto sedentaria’. 

E tuttavia le curiosità o anomalie continuarono. Come si sa, un ex libris indica nota di possesso, è deciso dal proprietario, che lo arricchisce di motto o logo e si presenta o in forma di etichetta cartacea da incollare al verso delle primissime carte oppure consiste in un timbro ad inchiostro, applicato sul frontespizio. Questa volta si trova invece in un angolino del foglio di guardia, con caratteri in oro e per di più con l’epiteto di ‘Defensor pacis et libertatis’, per il possessore.

Chiaro che costui non si attribuirebbe un simile titolo, da se stesso. Dunque deve trattarsi piuttosto di un dono, ma il testo non ha per nulla carattere dedicatorio. Ci si sarebbe aspettati infatti un ‘In filiale omaggio…’ oppure un ‘Al Santo Padre…’, includendo pure tutte le varianti possibili. 

Altra difficoltà: l’anno riportato è il 1979 e si sa che Giovanni Paolo II era stato eletto il 16 ottobre 1978. Dunque, facendo un semplicissimo calcolo aritmetico, ai dodici mesi dell'intero 1979 vanno aggiunti i due e mezzo residui del 1978. In fin dei conti questa dedica potrebbe registrare un periodo minimo di pontificato di appena tre mesi, se applicato a gennaio 1979, o quello massimo, di quattordici mesi e mezzo, se impresso invece nel mese di dicembre dello stesso anno.

tuttavia neppure i mesi del livello massimo sembrano sufficienti, perché si attribuisse al pontefice la gloria di ‘Defensor pacis et libertatis’. Non aveva ancora avuto il tempo di manifestarsi. Anche per le vicende nella sua Polonia non esercitava ancora un’azione efficace e visibile ad ampio raggio, come avverrà con il sostegno a Solidarnosh e suo fondatore. Difettoso il titolo ‘ex libris’, difettoso il posto della sua affissione, sproporzionato l’elogio che si voleva attribuire al dedicatario. 

E pensando già ad un titolo per un eventuale mio studio, immaginai di poterlo articolare ad esempio: ‘Il prontuario erboristico del papa’, oppure ‘Il papa che si curava da sé’ o ancora ‘Il prediletto manuale medico del papa’.


BAV. Nuovo frontespizio creato per questa edizione 1977, 
in aggiunta a quello originale del 1568 

Domando allora al personale di Sala quando quel volume potrebbe esser giunto in biblioteca e si aggiunsero altre grane. Qualcuno, dopo aver dato un’occhiata alla schermata del catalogo di gestione interna, mi risponde: 2015! Era il momento della chiusura della biblioteca e mi allontanai abbastanza perturbato a causa di quella data. Ne veniva sfasato tutto il mio piano. Considerando gli anni 1979-2015 vi sarebbe un lasso di tempo per gli ultimi tre pontefici. 

Pensai perciò, volendo risolvere ogni evento in positivo, che avrei potuto variare il titolo in ‘La farmacopea di tre pontefici’. 

Cosa in realtà molto fittizia, perché sapevo benissimo che Benedetto XVI aveva temporeggiato per un paio di mesi nel suo alloggio provvisorio a S. Marta,  in attesa che nell’appartamento che avrebbe occupato al Palazzo apostolico si svolgessero i lavori di rinnovo, come si fa di solito. Dunque quel volume sarebbe stato trasferito nel 2005, in occasione di quei lavori. E si sa pure che papa Francesco non è mai andato ad abitare nell’appartamento del Palazzo apostolico. Quindi non avrebbe mai usato quel libro, supposto che esso fosse stato conservato lassù fino al 2015, come sembrava risultare dalla schermata citata.

Poi il 23 marzo ritornai sulla questione e l’assistente di sala di quel giorno prese molto a cuore la faccenda di quello strano libro. Mi chiese innanzitutto il modo in cui fossi giunto alla individuazione di quell’opera. 

In secondo luogo, quanto al mio studio, si interessò pure al suo punto d’approdo; chiese infatti di darne notizia a lavoro concluso. Pensai che reclamasse una copia per la biblioteca, come si richiede di prassi da ogni Ente di quel genere, quando mette a disposizione materiale di studio. 

Così per l’indomani mi premurai di portare alcuni esempi concreti di lavoretti, stampati su cartaceo, in prototipo. Ricordo che lei ne restò molto bene impressionata. Anzi poi si informò se io fossi stato anche l’autore delle foto. 

Infine, partendo verosimilmente dai dati notati sul frontespizio, si sarà inoltrata in ulteriore ricerca, e aveva scoperto che esisteva anche un Blog con quel nome. Mi chiese perciò se fossi io l’artefice di quello studio online, omologo alla testata dei volumetti e io ovviamente confermai e assentii a tutte quelle domande.

Inutile confessare che quelle osservazioni mi colmarono di immensa soddisfazione, perché si rivelavano come spontaneo suggello per il lavoro da me realizzato nel corso del tempo. Con espressione gergale si direbbe: caricò al massimo grado l'adrenalina.

La ricerca continuò nei giorni 24 e 25 marzo e fra una notizia e l’altra si giunse a delimitare di parecchio il lasso di tempo fra la data 1979 dell’ex libris e la registrazione in BAV. 

E dunque la questione si era ridotta non tanto a quando il volume fosse entrato in Biblioteca Vaticana, ma quando aveva lasciato il Palazzo apostolico.  

La scheda cartacea del catalogo riporta il numero di catalogazione, n. 239074, a firma di GC (= Gianfranco Carabellucci). Questo stesso appare registrato anche sulla carta di guardia finale in ambedue i tomi dell’opera. Nonostante la cifra mi sembrasse molto bassa, comunque la sua entrata in catalogo ruota intorno all'anno 1980.

Emerse che il volume non era rimasto per lungo tempo nel Palazzo Apostolico e che l’usura del marocchino delle sue coperte non dipendeva dall’uso che ne avesse potuto fare il papa. Cosa se ne sarebbe fatto di quelle istruzione per la salute? Anzi probabilmente il volume non era mai penetrato negli scaffali di quel palazzo. Come per tanti altri doni, il papa non vi avrà prestato molta attenzione.

Il secondo passaggio interpella riguardo a colui che ha concepito quell’opera di ristampa; era davvero convinto di far cosa gradita e meritevole offrendola al pontefice? In questo momento tralascio completamente questo punto e passo oltre, riservandomi di svilupparlo sul cartaceo.

Il terzo passo è quello più interessante. Un confronto con i racconti di guarigione nei Vangeli e l’adozione di alcune pratiche terapeutiche da parte di uomini di chiesa. Ma l'argomento non interessa il presente blog: rinviato anche questo. 

Diamo invece uno sguardo ai contenuti.

Spulciando nel Mattioli

Nell'impianto testuale di Mattioli è chiaro il metodo: presentare la teoria di Dioscoride Pedanio Anazarbei, del I secolo, e attualizzarlo ai suoi tempi, cioè nel secolo XVI. Si intende che l’obsoleto sarebbe stato eliminato. E credo che, ad un’analisi approfondita, in cui però io non mi sono addentrato, qualche caso di questo genere sarà pure rintracciabile. Ad una semplice lettura però emergono spesso delle cure davvero strane. E la sensazione è che qualche ricetta fosse improbabile per i tempi di Dioscoride, ma soggiacciono – a mio avviso – diverse improponibilità anche per l’epoca di Mattioli stesso.

Qualche esempio. 

Un tipo di epilessia era curato con ‘sottilissima polvere fatta delle zanne maestre del lupo’. Il rimedio non era suggerito da Dioscoride, perché non si trova nella sezione a lui dedicata, e nemmeno dal testo di Mattioli. Tuttavia costui la riporta come ricetta valida, affermando che gli era stata trasmessa da Giacomoantonio Cortuso e dà la netta sensazione di averla acquisita come propria. 

Vien subito da chiedersi come si potessero reperire queste zanne di lupo e in quale quantità, se si voleva soddisfare tutte le richieste dei pazienti. È evidente che si dovesse far ricorso ai cacciatori, i soli a poterne garantire l’autenticità, e confidare nella loro onestà. Chissà poi dove andavano a cercare gli animali e infine a quale prezzo rivendevano quelle zanne. C’è da immaginarsi che circolasse molta speculazione e a costo di tante burle per i poveri pazienti. 

La buona fede non bastava di certo.

Mi ricorda un po’ quella buffa promessa fatta da Casanova a quel suo amico nobile gentiluomo il quale gli aveva mostrato orgogliosamente un prezioso cimelio, che affermava gli era stato portato dall'oriente. Con profonda convinzione riteneva essere la ‘spada con cui S. Pietro aveva tagliato l’orecchio a Malco’ nel giardino del Getsemani. Casanova che non prese sul serio quel racconto, volle burlarsi di quel suo amico credulone e rincarò la dose: 'Ma ti prometto che io sarò in grado di procurarti anche il suo fodero originale'. Con l'evidente ironia di un 'povero illuso!'.

Credenze strane, a torto o a ragione, come questa delle zanne del lupo, ma si provi ad immaginare una persona obbligata ad affrontare un grave caso d'infermità, per sé o per un proprio familiare, affetto magari da malattia rara o sconosciuta! è ovvio che si aggrapperà a qualunque promessa, tanto più se essa è presentata da un nome di medico famoso. Il risultato però sarà quello di spendere tutti i suoi averi, senza trarne alcun vantaggio, come  nei vangeli si narra fosse avvenuto per l'emorroissa.

Altro caso, che non concerne direttamente la salute, ma pur'esso angosciante. 

E qui mi piace evidenziare l'associazione ad un parallelo offerto da una relazione ad limina proveniente dall'isola di Scio (o Chio), databile al 1609. Il vescovo lamentava una sproporzione di nascite fra maschi e femmine dell'ordine del 5 %. Diceva quel vescovo: 

'ogniuna (le ragazze di quell'isola greca, allora sotto dominio turco) si vol maritare per fuggire molti pericoli di turchi, et gl’huomini sono pochissimi, che dirò una cosa che par incredibile et pur è vera, sono hoggi di in Scio ducento donne Latine atte per marito, et non vi sono diece giovani per maritarsi'.

Più volte in diverse altre relazioni si può osservare questa oscillazione, tanto da sembrare una legge della provvidenza: quando vi è bisogno di forze combattenti, in tempo di crisi bellica, nascevano più maschi, con fenomeno inverso in momenti di pace. 

Ebbene a tal proposito in Mattioli è riportata una pianta, detta volgarmente 'testicolo di cane', la cui parte sotterranea è formata da due tuberi, uno più compatto rispetto all'altro. Si affermava che, per una coppia umana, mangiando quel tubero, si genererebbe un maschio e il contrario se si mangiasse l'altro tubero meno sodo. 

Vien da pensare a quante speranze siano state deluse e quante burle, o vere e proprie truffe, siano state commesse in questo campo. Bello sarebbe stato poter gestire e decidere il sesso del proprio figlio nascituro. Se questo cruccio era giunto ad assillare finanche qualche vescovo nell'isola di Chio, figurarsi i drammi nei progetti d'una coppia. E ancor di più per il potere civile, nel momento in cui aveva bisogno di braccia combattenti. 

Oggi questa pianta, appartenente alla famiglia delle orchidacee e dal nome scientifico Orchis mascula, è specie protetta e non si potrebbe più usare. 

Ma io grido ancora una volta allo scandalo per come nell'epoca della Rinascenza si gestiva la materia: si trattava di scienza medica ufficiale, stampata in poderosi volumi!



Testicolo di cane. Notare i due tuberi, di cui è composta la radice. 
Mattioli sosteneva che il genitore fosse in grado di determinare 
il sesso d'un nascituromangiando l'uno o l'altro tubero! 
!



Nome scientifico: Orchis mascula. Oggi ne è vietata la raccolta, poiché specie protetta.
Così il sesso del nascituro non è più determinato dai genitori, ma dalla Natura!

           In indice si osservano cose molto simili. 
Ad esempio per curare il mal di denti, questi alcuni rimedi (passim)

latte di fico (non specificato se dei frutti o di altre parti della pianta); 
fegato di lucertola messo fra i denti; 
spoglia di serpente cotta in aceto; 
midolla d’ossa di stinchi di lepre arrostita; 
sterco bianco di cane; 
succhio di chiocciole punte con un ago; 
fiele di lepre; 
fiele di donnola; 
carne di vipera cotta e mangiata.

Alla voce ‘Naso, flusso di sangue’, che Francesco Borsetta chiama Epistassi, un curioso rimedio suggerito da Mattioli: ‘Peli del ventre di lepre cavati dall’animale vivo e poi abbrusciati e messi nel naso’ (f. nn, ma cfr Indice voce Naso). Forse giustificabile in Dioscoride, ma abbastanza sorprendente che ne tratti ancora Mattioli nell'epoca della Rinascenza! 

Si poteva pensare che sarebbe stato agevole procurarsi questi rimedi all’occorrenza? 

E in caso si volesse creare la theriotheca, come conservarli?

Alla voce Puzzore della bocca (= alitosi), sub verbo 'Bocca e lingua', Mattioli suggerisce: ‘Oro tenuto in bocca’.

Se la lista di altre terapie presentava rimedi abbastanza plausibili, poiché si trattava ad esempio di masticare e tenere in bocca vegetali odorosi e aromatici, non si comprende cosa c’entrasse il metallo prezioso. Orienta a pensare di continuo all’effetto placebo dei rimedi suggeriti.

Qui entrano in gioco alcune credenze riguardo a questo metallo, quali ad esempio che l’assunzione di oro polverizzato fosse efficace per imbiondire i capelli. La regina Diane di Poitiers ci credette e adottò il sistema, ma – come si sa - ne restò vittima, perché la polvere col tempo si ricostituì in pepite nel suo organismo.

Alla voce Veleni, ai funghi malefichi, sempre Mattioli suggerisce: ‘Sterco di gallina preso in bevanda con aceto’. 

Ho riletto nuovamente la nota introduttiva a questa ristampa, di Francesco Barberi, e confermo che non trovo motivo serio per aver ristampato questo volume; di certo non adatto al fai da te in fatto di cura da malanni.

Medice, cura teipsum

La domanda è spontanea. Credeva il medico stesso ai rimedi che proponeva? Ecco allora l’evangelico monito: Medice, cura teipsum! che a questo punto, con un po' di forzatura, assume una ulteriore sfumatura.

L'espressione è citata come proverbiale nel vangelo di Luca (4,23) e costituisce un hapax. Di fatto è usato in metafora. In prima istanza indica qualcuno che non esegue quel che dovrebbe o almeno che il pubblico si attende. In genere avviene per trascuratezza o per avarizia. Così si dice che il calzolaio va in giro con le scarpe rotte o che il fabbricatore di candele vive al buio, perché preferisce vendere le candele e ne resta a corto per se stesso.

Nel caso della medicina, in questo caso, la sentenza è più grave perché invade il campo dell’etica. 

Nell’apparato critico di K. Aland, Novum Testamentum graece, fra le fonti antiche, non vien offerto alcun testo letterario a questa massima. Eppure quando Gesù di Nazareth pronunciò il Medice, cura teipsum, quel detto doveva essere ben noto e comprensibile a tutto l’uditorio e la applica a se stesso, come probabile obiezione del popolo che assiste alla sua predicazione

Fuor di metafora, e sulla base di Mattioli, si potrebbe arricchirla di un nuovo senso: il medico non aveva fiducia nella cura che proponeva. Bando alle esagerazioni e generalizzazioni, perché lo scopo non è di gettar fango, ma di costruire. La questione è infatti di somma importanza, perché spesso si è accusata la chiesa di oscurantismo e di essere antiscientifica. Avrebbe avuto interesse a tenere il popolo nell’oppio, o più precisamente sarebbe riuscita ad educarlo in modo che esso stesso si consolasse con l’oppio della religione. 

Ebbene va notato che questi metodi registrati qui erano accolti come ‘scienza’ medica ufficiale. Si potrebbe pure scusare il Mattioli, dicendo che ha voluto fare opera enciclopedica e ha riportato tutti i casi a lui noti, il che non comporta la sua acquiescenza. E tuttavia la sua opera era giudicata come il prontuario indispensabile ad un medico che volesse dirsi tale. 


Copertina per l'opuscolo saggio, già stampato e consegnato, 
ma in fase di ulteriore revisione 



BAV. Queste le condizioni in cui versa il Mattioli originale (Venezia 1568), 
presente in BAV (Fondo Chigi), 
e attende uno sponsor sensibile alla sua ricostituzione

Fine testo per il blog!







Sequitur