SCRIPTORIVM ARGENTANVM


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Depositato


Lo ex libris

        I numerosi fasci dell'ASV, provenienti dall'antico Fondo della Congregazione del Concilio, testimoniano sulla realtà di tutte quelle regioni del mondo in cui è stata in qualche modo presente l'azione diplomatica della Sede Apostolica. Vi è descritto il territorio, secondo la visione dei Presuli, che si portavano a Roma per compiere la Visitatio ad limina Apostolorum.
Il 20 dicembre 1585 Sisto V aveva stabilito che i vescovi la compissero a scadenza regolare, presentando nel contempo una dettagliata relazione concernente lo Status Ecclesiae, cioè la descrizione della propria diocesi. Per l'Italia e isole maggiori, Corsica compresa, la scadenza era triennale; per il resto d'Europa quadriennale; per le regioni più distanti quinquennale; per le Americhe, infine, decennale.
La serie proseguì fino ai tempi recenti, finché il 31 dicembre 1909 la Congregatio Consistorialis stabilì che, a partire dal 1 gennaio 1911, le visite ad limina avrebbero dovuto avere scadenza quinquennale, iniziando una nuova serie (cfr A remotissima, AAS, 1/2 (1910), 13-16). Per l’Italia rimaneva l’obbligo che venisse compiuta nel primo anno del quinquennio.
L'atto materiale necessario a preparare le relazioni della originaria Ecclesia Sancti Marci, in Regno Neapolitano, mi suggerì il titolo per un'opera dei nostri giorni: Scriptorium Argentanum, a memoria del nome assunto dalla città che ne ospita la sede dopo l'unità d'Italia: San Marco Argentano.
Era l'aprile 1997.
In particolare decisi di utilizzare quel titolo quale testata di una collana editoriale, immediatamente concretizzatasi con il volume Il sinodo di Teodoro Fantoni (Roma 2006), i cui Atti erano stati di certo composti esattamente in quello Scriptorium, nel 1665.
Precedentemente, verso la metà degli anni ’80 avevo pensato al motto Liber Labor. Una consultazione in rete, più volte ripetuta, dava zero risultati; ancor più nuova e unica risultò ovviamente l’associazione delle due frasi e infine l’ultimo dato più importante cioè l’aggiunta dell’immagine composita e i colori. Quel motto è inesistente pure fra gli ex libris, secondo la verifica fatta nell’opera in tre volumi dedicati al soggetto di Egisto Bragaglia e che ho spulciato più volte nel corso degli anni per accertarmi che non vi fosse già: Gli ex-libris italiani dalle origini all’Ottocento, I, Milano 1993, 531-546, mentre io l’avevo adottato da tempo per la mia bibliotechina.
Sembrerebbe incredibile che nessuno avesse pensato ad esprimere in un ex-libris questa duplice idea di lavoro (Labor, appunto) legato al libro, che a me dà tante suggestioni. In primo luogo il concetto di fatica, in secondo luogo l’idea di fonte di sussistenza. Infatti nel primo caso si vuol ribadire che realizzare un libro costa gran fatica. Basti considerare pure una sola delle sue varie fasi oppure abbracciarle tutte insieme: ideare il libro, scriverne il contenuto, impaginarlo, adattarvi gli accorgimenti più accattivanti, infine farlo stampare e quindi preoccuparsi della distribuzione.
Il secondo aspetto insito nel termine ‘Labor’ è più usuale e positivo cioè il libro come fonte di guadagno. Qui non intendevo tanto il commercio dei volumi, ma la cura della biblioteca. Il libro custodito in un insieme e disponibile per il pubblico necessita di tante cure che esige un impiego (altro senso di lavoro): dal libro il bibliotecario trae da vivere. Successivamente mi son trovato per caso a sperimentare personalmente ambedue le forme di Labor! Al momento di concepire il logo pensavo piuttosto solo alla prima. l’azione di stampare o applicare timbri e sigilli mi ha sempre affascinato.

Questa serie, con 9 volumi in progetto, si propone di pubblicare testi analoghi, con medesimo taglio filologico, di cui si sta già curando l'edizione. Prossimamente vedrà la luce:
Il sinodo diocesano di Antonino Papa, vescovo di San Marco (1687)  
Il sinodo diocesano di Giovanni Battista di Costanzo, vescovo di Cosenza (1592)
Le relazioni ad limina di San Marco (1588-1931).


Documenta Ecclesiae S. Marci

     Dal 1818 la diocesi fu denominata San Marco e Bisignano, in seguito all’accorpamento aeque principaliter, stabilito da Pio VII, con la confinante Bisignano.
Si prevede inoltre la diffusione cartacea del catalogo – cosa ovvia -  dello Archivio storico diocesano di San Marco Argentano, per ora in fase di allestimento e non usufruibile nella sua interezza, per cui ho immaginato l'acronimo ASDA, anch'esso già verificato sul campo da diversi anni.
In teoria è pure pronto il catalogo delle Autentiche delle reliquie. Son tutte cartacee e testimoniano circa le reliquie custodite negli antichi Sacrari; le ho già ordinate ed è accertata la loro data iniziale: 1670 la prima. Nello schema da compilare in vista dello status ecclesiae il vescovo era tenuto a dichiarare se nella sua chiesa (in pratica la cattedrale) vi fossero delle reliquie e se fossero conservate degnamente per la opportuna venerazione dei fedeli. La professione di fede post-tridentina, detta di Pio IV, che continuava il testo del credo Niceno-Costantinopolitano, contemplava fra l’altro:
«Similiter, et Sanctos una cum Christo regnantes uenerandos, atque inuocandos esse, eosque orationes Deo, pro Nobis offerre, atque eorum reliquias esse uenerandas firmissimè assero». 
Anche lo schema per i testimoni al momento dell’elezione del vescovo prevedeva la domanda circa le reliquie. Per l’elezione di Giovanni Battista Indelli il 15 maggio 1624 si chiedeva: “An ibidem (cioè in cattedrale) sint reliquię Sanctorum, quorum, et an decenter asserventur”.
Il canonico sammarchese Maurizio Pintibona, secondo testimone, rispose: “Io so che in detta Chiesa vi sono molte reliquie di Santi quale si conservano decentemente delle quali parte si conservano in certe cassette d’argento e parte in una cassetta e tra l’altre vi è un braccio di Santo Hipolito delle reliquie di Nereo e delli Capelli della Beatissima Vergine e altre e questo io lo so per haverle viste”.
La formula del giuramento veniva professata dal vescovo eletto, nelle mani del cardinale referente, prima della sua consacrazione episcopale. Le reliquie di San Marco furono dunque variamente elencate, durante i secoli, dai rispettivi vescovi. Circa la loro presenza e valore si oscilla fra l'enfatizzazione a scopo di gloria e il minimalismo (che preferirei definire taphia) per timore di violazioni o furti. Andrebbe attualmente effettuato un paziente lavoro di identificazione e comparazione fra le reliquie realmente possedute, spesso minuscole e con cartigli deteriorati, e quelle descritte nelle suddette Autentiche.
Infine l'elenco dei cimeli museali, assemblati in unica sede, precisamente nella chiesa di S. Giovanni Battista, detta degli Amalfitani. Questa chiesa è sempre descritta come una delle tre (S. Caterina e S. Maria dell'Ilice o dei Longobardi, le altre due) esistenti all'interno delle mura cittadine, ma spesso inagibile a causa di naturali infiltrazioni d'acqua delle sorgenti sottostanti. Ne era titolare l'arcidiacono, cioè la prima dignità ecclesiastica, cui precedeva solo la pontificale. Il presule Felice Greco nel 1834 l'aveva destinata a sede della seconda parrocchia, ottenuta discorpando il territorio della prima ed unica cura animarum, con sede in cattedrale, affidata al capitolo da Coriolano Martirano, secondo la nota del 26 febbraio 1686 di Antonino Papa, il quale  afferma:
«Cura animarum fuit huic capitulo annexa ab Episcopo Coriolano Marturano (sic) quemadmodum enumeratur in actis Sanctæ Visitationis de anno 1591 fol[io] 20. Exercetur per solum Cappellanum nominari solitum a Capitulo, et confirmari ab Episcopo pro tempore. Pro stipendio aliud non habet quam modios quindecim frumenti, et Jus Stolæ in exequijs defunctorum; quod totum uix ascendit ad ducatos annuos duodecim». 
Dunque la cura animarum ebbe sede sempre nella cattedrale, con fonte battesimale, naturalmente. Per semplice curiosità basta notare che nella vicina Bisignano vi furono al contrario sempre numerose curae animarum, ben nove parrocchie nella sola città, benchè il fonte fosse unico solo in cattedrale.
La notizia dello smembramento del territorio in San Marco e della creazione della seconda parrocchia ci è tramandata dal vescovo Mariano Marsico, il quale il 16 luglio 1846 scrive:
«S. Marci Civitas in clivi montis posita, et quasi in medio situata, habens circum circa Ecclesias minores sicut novellæ Olivarum in circuitu mensę suę; Animas continet fere quatuor millia quarum cura fuit penes Capitulum usque ad annum 1834. sed ex tunc, justis de causis a meo Prędecessore traditę fuere Parocho proprio in Ecclesia Parochiali S. Joannis Baptistę excolendas ibique fons baptismalis, SS. Eucharistię Sacramentum, et Sacra Olea honorifice asservantur. Ad majorem vero commoditatem Parochianorum, jam dictę Parochię adnexa fuit Ecclesia S. Marię in qua SS. Sacramentum asservatur, et sacra peraguntur singulis Dominicis, diebusque festivis ; quęquę ambæ sunt congruis utensilibus ornatæ».
Nel 1834 Felice Greco aveva istituito, per giuste cause, una seconda parrocchia nella chiesa di S. Giovanni Battista degli Amalfitani, beneficio dell’arcidiacono. Non fu lui stesso a dar la notizia in Congregazione del Concilio, perché dopo quella data non presentò alcuna Relatio Dioecesis. Lo fece il successore, Mariano Marsico, che scrisse dodici anni dopo.
A causa della fatiscenza di S. Giovanni Battista, perennemente soggetta alle infiltrazioni d’acqua proveniente dal monte della Conicella e passando per l’attuale p.za Umberto I, fu deciso in epoca recente (fine decennio 1950), di trasferire il titolo parrocchiale nella chiesa di S. Marco Evangelista, chiesa patronale sempre dichiarata extra moenia. Il titolo parrocchiale di S. Giovanni Battista, rimasto tale, con ufficiatura nella chiesa di S. Marco Evangelista (vulgo Santo Marco).
Infine, in seguito alla massiccia opera di recupero e restauro di antichi luoghi di culto, promossa negli anni 1980 da Mons. Augusto Lauro, il locale di S. Giovanni Battista fu destinato a sede del Museo diocesano nel frattempo costituito. Vi si possono ammirare antichi e preziosi pezzi sacri: effigie di santi, reliquiari, come pure suppellettile di natura cultuale: calici, pissidi, ostensori, croci, candelieri, turiboli, secchielli per acqua benedetta.
Anche di Relazioni ad limina (più precisamente Relationes dioecesium) concernenti altre diocesi circonvicine si pubblicherà almeno lo spoglio completo, quale frutto del mio lavoro di riordino eseguito nell'ASV qualche anno fa. Interesserà non solo la storia ecclesiastica in genere, ma i singoli Comuni e le Associazioni culturali per i loro aspetti sociali e finanche folclorici, soprattutto quando la diocesi cui si riferiscono non esiste più, almeno in quella forma, perchè accorpata o soppressa, in seguito alla costituzione di Pio VII, d’intesa con il Regno di Napoli nel 1818.

Metodologia
   Di taglio filologico e monografico, il più possibile. Quanto a trascrizione del testo, si ha cura di sviluppare qualunque abbreviazione o compendio, in modo da permetterne la lettura anche ai non specialisti. Spesso si integrano anche formule curiali, che per esser tanto note a scrittori e lettori allora contemporanei, venivano facilmente supposte e sostituite con un comodo "&c", ma difficilmente immaginabili per la prassi giuridica e l'uso dei nostri giorni. Tali integrazioni son comunque racchiuse in parentesi quadre e restano ben riconoscibili. E circa l'ortografia si rispetta l'uso del tempo; innanzitutto la distinzione fra i dittonghi di quella più comune (es. Ecclesiæ) a quella cedigliata (es. Catholicę); quindi la v/u consonante/vocale (es. conuersionem) e le vocali in fine di parola, spesso accentate ad indicare una sillaba lunga (es. iuxtà). Si offre traduzione italiana e qualche breve commento, lasciando agli storici il compito di sviluppare il lavoro successivo.


  sequitur