Tonino Caruso
arcbibliocaruso@gmail.com
Cell. +39-3384701663
arcbibliocaruso@yahoo.it
Ogni qualvolta ho accompagnato
una classe o un gruppetto di ragazzi a visitare un monumento romano su cui era
affissa un’epigrafe classica, al fine di sviscerarne la grammatica greca o
latina e abituarli ad applicarne le regole al momento opportuno e laddove
occorre, immancabilmente mi son trovato di fronte al caso seguente. La persona
incaricata di leggere ad alta voce l’iscrizione non ha manifestato incertezze
rilevanti nella lettura del testo letterario, pur non comprendendone magari
appieno i nessi sintattici o interpretando un cognome moderno come sostantivo
da cercare nel vocabolario scolastico! Ma giunta verso la fine, quando si tratta in genere di interpretare la datazione, ecco una breve
esitazione. Di fronte - per esempio - ad un «Anno Domini MDCCIL» declama sicura: «Anno
Domini...». Quindi un «Uhm!..» e per ultimo conclude, imboccando una comoda scorciatoia, con un
pizzico d’ingenuità: «Insomma ... Mille
settecento quaranta nove!». Il solo lavoro mentale effettuato è stato quello di aver ben interpretato i numerali romani e di averli tradotti in pratica informazione storico-cronologica, ma esprimendoli secondo la lingua italiana. Si dispensa dalla fatica di procedere nella lingua di Romolo, come invece andrebbe fatto: "[...] / refectionem anno millesimo septingentesimo undequinquagesimo inceptam / anno millesimo septingentesimo quinquagesimo secundo absolvit".
Il riferimento specifico concerne l'epigrafe affissa sulle mura aureliane, accanto a Porta del Popolo e in corrispondenza della cappella Chigi della chiesa di S. Maria dall’omonimo titolo 'de populo' (= del popolo oppure del pioppo?), in cui il pontefice Benedetto XIV (Prospero Lambertini) informa i posteri di aver restaurato un lungo tratto delle mura, iniziando i lavori nel 1749 e terminandoli nel 1752.
Il riferimento specifico concerne l'epigrafe affissa sulle mura aureliane, accanto a Porta del Popolo e in corrispondenza della cappella Chigi della chiesa di S. Maria dall’omonimo titolo 'de populo' (= del popolo oppure del pioppo?), in cui il pontefice Benedetto XIV (Prospero Lambertini) informa i posteri di aver restaurato un lungo tratto delle mura, iniziando i lavori nel 1749 e terminandoli nel 1752.
Roma.
Porta del Popolo. Epigrafe di Benedetto XIV
BENEDICTVS
XIV P M /
MVRORVM
VRBIS A PORTA OSTIENSI /
AD
FLAMINIAM PORTAM /
VETVSTATE
FATISCENTIVM /
REFECTIONEM
ANNO MDCCIL INCOEPTAM /
ANNO
MDCCLII ABSOLVIT
Il papa afferma di aver ricostruito parte di queste mura dal 1749 al 1752
Il papa afferma di aver ricostruito parte di queste mura dal 1749 al 1752
Alcune
sue iscrizioni
Porta del Popolo. Iscrizione di Pio IV.
Sempre una delle prime ad essere trascritta dai miei alunni
Notare l'uso del greco arcaico nella gestione dei segni numerici romani
Pio
IV Pontefice Massimo
Ampliò
questa porta alle dimensioni attuali
Lastricò
la Via Flaminia nel III anno [del suo
pontificato]
Via Flaminia vista da Porta del Popolo.
Osservare gli enormi battenti in legno,
non più utilizzati con gli avvenimenti del 1870
Ho pensato a questo episodio - tante volte ripetuto nel corso degli anni - esaminando un diploma del medesimo Benedetto XIV, del 1741, custodito nell’Archivio Segreto Vaticano. Non un manufatto lapideo o marmoreo, dunque, bensì un documento cartaceo, uscito allora freschissimo dai torchi tipografici della Reverenda Camera Apostolica. Impeccabile - a giudicare dai similari ad esso precedenti o contemporanei - e già pronto per la stampa; eppure giudicato bisognoso di numerose e radicali modifiche da qualcuno, che per noi rimarrà un semplice ed anonimo correttore di bozze. In linea di principio si deve supporre che l'impostazione dello schema sia da attribuirsi al compositore-tipografo e la correzione a persona diversa dall'autore del testo manoscritto; non si giustificherebbero infatti le trasformazioni che vedremo, se si fosse trattato del medesimo individuo in qualità di autore e di correttore.
I numerali
Il compositore-tipografo,
forse basandosi sull’uso a lui abituale nel citare documenti precedenti, aveva
apposto questa data: ‘millesimo quingentesimo octogesimo septimo’. Suppongo che
il tipografo abbia agito di sua iniziativa, per la ragione predetta. Resta però
l’altra ipotesi: che l’autore del chirografo abbia pure suggerito lo schema, ma
che non si identifica con il successivo correttore. Quest’ultimo dunque,
intervenendo su ciò che a questo punto va definito ‘bozza di stampa’, marca con
un tratto ad inchiostro nero la frase sviluppata in lettere surriferita,
annotando a margine la sostituzione da apportare in cifre arabe: 1580!
Ovviamente non si è accorto che nel testo vi era ancora un ‘septimo’, da lui
non cassato e non calcolato nel conteggio totale, che corrisponde in
realtà al 1587. Allo stato attuale non possiamo sapere se il tipografo
abbia seguito questa correzione proposta nella bozza, perchè non ci è pervenuta la stampa successiva e non
è possibile alcun riscontro. Ma se lo avesse fatto, invece di aiutare il
lettore nell’interpretazione della data in latino e renderla immediatamente
percepibile con un colpo d’occhio ed evitandogli il complicato esercizio di
scioglilingua, avrebbe in realtà reso più banale il documento pontificio a
causa del grave errore storico,
ben più percepibile proprio in quanto scritto in cifre arabe. Quello citato è
difatti un documento di Sisto V, eletto pontefice solo il 24 aprile 1585 e non
avrebbe mai potuto promulgare un decreto nel 1580.
Si vuole con questo attribuire
al correttore riferito la responsabilità di avere introdotto un uso, per cui
gli alunni oggi si rifiutano – e non sono poi in grado - di leggere per esteso,
con i dovuti aggettivi ordinali - concordati all’ablativo singolare maschile -
le cifre di un anno, sia che fosse inciso in cifre romane, che nella forma
araba corrente? Vi è di più.
Ovviamente corregge in cifre
arabe anche l’anno in corso, alla fine dell’intero documento, cioè 1741,
scritto anche questo – mi chiedo ancora una volta se per iniziativa del
tipografo o per decisione di un precedente scrittore – in modo diverso da
quello auspicato dal correttore: MDCCXLI. Modifica pure il giorno, scritto XV,
cui egli sovrappone un ‘15’, più facilmente identificabile come ‘quindici’. In
tal modo evita al lettore la preoccupazione se pronunciare ‘quintadecima’ o
‘quintodecimo’, cioè se ‘dies’ sia da considerare maschile o femminile. A tal
proposito è davvero curioso come in questo genere di documenti (il fascio da me
personalmente esaminato ne contiene 610, e ricopre il periodo compreso fra
il 1667 e il 1856) si passi con tanta disinvoltura da una modalità all’altra -
da maschile a femminile e viceversa - quasi a metter bene in rilievo che il
precedente aveva operato una scelta erronea. Eppure venivano sempre stampati
coi medesimi Typis Reverendæ Cameræ Apostolicæ. Uguale incertezza si
osserva nella datazione degli Imprimatur e, prima ancora negli stessi incunaboli.
Ma per casi a noi più prossimi, il femminile è ben marcato nell’imprimatur concesso a Parigi per i fascicoli del Dictionnaire de la Bible. Supplément negli anni 1950, mentre per una
mia richiesta orale di chiarimento su questa materia ad un amico latinista
pontificio, mi sentii rispondere con stizza, come se fosse in polemica ed in
collera contro qualcuno: ‘ maschile’!
Quanto al nome del mese, si
ricorre al semplice genitivo, ‘Septembris’, sottintendendo il sostantivo
‘mensis’, evitando il fastidio una seconda volta di una scelta d’accordo,
benché cosa di poco rilievo in questo caso, poiché invariata è la
desinenza fra maschile e femminile.
Fin qui bisogna notare che il
correttore preferisce le cifre arabe, sia per semplificare l’intera espressione
in lettere difficoltosa da pronunciare e impossibile da formulare se non si
conosce l’intero sistema numerale latino, sia per evitare le cifre romane, che
impongono numerose perplessità. Ma la sua preoccupazione sarà stata senz’altro
quella di attribuire maggior efficacia al documento pontificio.
La lettera iniziale
In secondo luogo
opera una revisione dell’intero testo, creando una novità assoluta in questo genere
di documenti, che si direbbe anche coraggiosa. Da premettere che non c’è
differenza fra prima e seconda colonna, come sarà invece per i segni di
interpunzione, che vedremo più oltre. È sempre sollecito ed esaustivo in
ambedue. Opera la riduzione in minuscolo della iniziale dei seguenti aggettivi
aventi la maiuscola nella stampa:
Christiana, Divinus, Cœlestius, Sacris, Omnipotentis, Secundo, Tertio, Ecclesiasticis. Così pure i sostantivi: Cultus, Indulgentia, Votis, Imaginem, Animarum, Confratrum, Filiorum, Officialium, Supellectilibus, Privilegia, Anno, Sententiis, Censuris, Jure, Altaria, Annulo, Ecclesia (nel senso di edificio, eccetto in un caso, sfuggito per distrazione), Terra (nel senso di ampio circondario abitato).
Christiana, Divinus, Cœlestius, Sacris, Omnipotentis, Secundo, Tertio, Ecclesiasticis. Così pure i sostantivi: Cultus, Indulgentia, Votis, Imaginem, Animarum, Confratrum, Filiorum, Officialium, Supellectilibus, Privilegia, Anno, Sententiis, Censuris, Jure, Altaria, Annulo, Ecclesia (nel senso di edificio, eccetto in un caso, sfuggito per distrazione), Terra (nel senso di ampio circondario abitato).
D’altra parte corregge in
maiuscolo l’aggettivo Noster se riferito al pontefice (plurale
maiestatico), ma nei casi in cui interviene deve trattarsi di refuso del
tipografo poichè altre volte era già stampato in maiuscolo; dunque si era
incorso in un refuso causato da distrazione al momento della composizione.
Una ‘v’ minuscula, in altri documenti analoghi scritta abitualmente come ‘u’,
viene da lui corretta in ‘v’, se indica la consonante: corregge ‘devotorum’ al
posto di ‘deuotorum’. Anche
per questo si tratta però di refuso, poichè tale grafia era qui già stata
adoperata in maniera costante per: verum, vel, revera, novo, Ludovici e altri.
Compendi ed abbreviazioni
Utilissimo il suggerimento di
sviluppare alcune abbreviazioni come ‘consequen’ in ‘consequendum’, una sola
occorrenza. Mentre per il ‘facieu’, anche questo un hapax, deve innanzitutto intervenire
per sostituire la ‘u’ in ‘n’: si tratta in fondo dello stesso segno posizionato
a testa in giù e che nella composizione manuale veniva interscambiato molto
spesso. Ma anche qui poi preferisce che si sviluppi in ‘facientibus’, piuttosto
che lasciarlo abbreviato. Di contra lascia invariato il ‘fel. record.’ e ‘fel.
rec.’ di ‘felicis recordationis’, due hapax rispettivamente.
Segni d’interpunzione
Per questo aspetto,
circa i suoi interventi, bisogna far netta distinzione fra la prima e
seconda colonna, poiché solo nella prima è preciso ed esaustivo. Elimina la virgola prima di una ‘e’ congiunzione
e del –que enclitico. Nella prima colonna lo
suggerisce in 18 occorrenze, mentre lascia invariata questa virgola (volontariamente o per svista?)
in 9 casi, sul totale di 27 occorrenze. Nella seconda colonna sembra meno
intransigente: per 20 casi non la corregge e solo per 5 ne impone
l’eliminazione. Confidando forse nella sagacia del tipografo, che da se stesso
individuasse i casi analoghi contemplati e operasse di conseguenza. Se l’ha
corretta 23 volte, significa che evidentemente intendeva correggerla in tutti
gli altri casi,
Tuttavia va notato che la
regola precedente – della virgola da apporre in ogni caso prima della
congiunzione ‘e’, si è
protratta fino a tempi recentissimi presso di noi.
Quanto all’enfatico ‘ac’
propone di eliminare la virgola che precede la particella, ma corregge solo in
un caso, non nel secondo, fra le due occorrenze della prima colonna; mentre non
ne suggerisce l’eliminazione in nessuna delle tre occorrenze della seconda
colonna. Anche qui fiducia nel tipografo? Diligentissimo invece, anche per
questa seconda colonna, nella correzione di iniziale maiuscola in minuscola,
oltre ad altri refusi reali, sui
generis, quali ‘Romanos Pontifices’ invece di ‘Romanus Pontifices’ o ‘non
obstantibus’ per ‘non ostantibus’.
In un caso decide che vadano
aggiunte le virgole; considerando come inciso: ‘itidem Predecessorem Nostrum’,
attributo di Sisto V, che il tipografo aveva lasciato senza alcun segno
ortografico, ritenendo non incidentale l’espressione. In un altro caso la
inserisce fra ‘Pontifices’ e ‘Prædecessores’, facendo memoria della tradizione:
Romanos Pontifices, Prædecessores Nostros’.
Quantità vocalica
Non osa ancora proporre
l’abolizione del segno della lunga. Conserva in tal modo ‘à’ unito all’ablativo
e gli avverbi ‘aliàs’, ‘tantùm’, ‘infrà’, ‘tàm’, ‘quàm’. Tuttavia da ‘seriè’, è
già eliminato nella stampa in cui compare come ‘serie’, da ‘supèr’, già
stampato semplicemente ‘super’ e da ‘humilitèr’ stampato ‘humiliter’.
Si tratta di un testo in
latino e non italiano, nonostante il titolo in volgare, stilato nella Curia
romana, stampato nella Roma dello Stato Pontificio e non nel resto del
territorio italiano. Si sta mutuando una modalità già adottata altrove o si sta
creando una novità? Pur dovendosi osservare un certa fluidità nei vari periodi,
bisogna riconoscere che per un testo religioso/canonico di questo genere si introduce
un principio di novità.
Natura del documento
Ed eccoci alla modifica più sostanziale,
questa volta di forma canonica, poichè si tratta di modificare o almeno sfumare
la natura del documento. Lo stampatore aveva creato un testo in cima al foglio,
centrato e in italiano, di cui rispetto sticometria e grafia:
BREVE /
DELLA SANTITÀ DI NOSTRO SIGNORE /
PAPA BENEDETTO XIV. /
In
cui conferma, et quatenus opus
sit, concede alla nuova Chiesa del SS. NOME DI MARIA,
/
e
confermate dalla santa memoria d'Innocenzo XII all'anticha chiesa, /
con
dichiarare Privileggiati (sic) tutti gl'Altari eretti, e da erigersi /
nella
medesima, com'erano i tre Altari della detta /
antica
Chiesa.
(qui
a centro lo stemma pontificio)
BENEDICTUS PAPA XIV. /
Ad
perpetuam rei memoriam.
Quindi segue, in lingua latina
e a paragrafo giustificato, il testo del documento, con incipit, ‘Pietatis, et
christianæ’.
A parte la
soppressione della virgola prima della congiunzione ‘et’, come già visto, l’incipit resta immutato, insieme a tutto il contenuto
successivo.
Sequitur