Biblioteca Vaticana: un’opera in Riserva. Medice, cura teipsum!


di Tonino Caruso

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14 maggio 2021

Un’opera in Riserva! in una biblioteca? 'Beh, cosa c’è di straordinario e di interessante'? potreste obbiettarmi.

Seguitemi, perché comincio dallo Antefatto. Esattamente come avviene nel preparare un copione per un film o nel creare un intreccio per un libro di narrativa.

Una mattina, fra la pubblicità di Yahoo, mi appare un volume settecentesco d'occasione, in antiquariato. Aveva delle belle illustrazioni, che ne facevano lievitare prezzo e valutazione. Fra l’altro, l'illustrazione d'un asino, accompagnato dal suo padrone. 

Era un trattato medico-botanico di Pier Andrea Mattioli. 

La mia questione: cosa ci sta a fare un asino in un trattato di erbe terapeutiche? Poi ne apprendo il motivo. All'interno delle zampe dei quadrupedi si formano dei calli o meglio delle cicatrizzazioni da ferite, a causa dello strofinio nei loro movimenti; la loro crosta era usata a scopo terapeutico.


Pier Andrea Mattioli. Illustrazioni da un'edizione del XVII secolo

Cerco notizie su Mattioli: un medico del Cinquecento, vissuto - fra l’altro - alla corte del vescovo di Trento. L’opera sua viene annunciata come il non plus ultra per gli scienziati della sua epoca.

Ma perché ristamparlo ancora nel ‘700, come fosse un prontuario medico? 

Improvvisamente mi rendo conto che avevo letto quel nome tante volte, in particolare in un libro di Francesco Borsetta stampato a Torino nel 1955, Per curarsi con le erbe, acquistato da mio padre, la cui lettura era stata la delizia nei miei anni d'adolescenza, e che conservo tuttora. Nella premessa Borsetta inserisce un brano di Mattioli, il quale figura fra i maestri, ritenuto molto autorevole.


Il volume di Francesco Borsetta, Torino 1955 

Ovviamente cerco nel catalogo online della BAV e trovo un Mattioli, che si annunciava molto voluminoso, a giudicare dal numero delle pagine.

Qui casca l’asino! Quel che mi appare non solo non è un'opera cinquecentina, contemporanea al suo autore, ma nemmeno settecentesca, come quella offerta in vendita d’occasione. 

Questa della BAV riporta l’anno 1977. Stupore! Un Mattioli ancora nel 1977? 

Ma perché il Coronavirus non si è sviluppato in quegli anni, così avremmo avuto un consiglio di fitoterapia risolutivo, come propone per numerosi malanni? Altro che Astra Zeneca, Pfizer, Moderna o Johnson & Johnson! 

Ma attenzione a non distrarsi. 

Il Mattioli del 1977 alla BAV era custodito in Riserva! Per di più si trattava di una ristampa anastatica e si indicava pure l’edizione da cui era stata riprodotta: Vincenzo Valgrisi, Venezia 1568. 

Dunque mi domando: c’è questa edizione originale alla BAV? Ebbene, la trovo in catalogo, nel fondo Chigi. A questo punto, stupore sommato a stupore! come mai la sua tardissima ristampa anastatica è gelosamente custodita in Riserva, mentre l’originale è in magazzino? In genere avviene il contrario. Più oltre offro una foto significativa circa le miserabili condizioni di questo originale, nella speranza che qualcuno si proponga come sponsor per ricostituirlo in libro decente! 

A più riprese mi frullava in testa la questione del Mattioli, ma in quel momento ero impegnato a studiare il calendario cristiano antico, con la speranza di rintracciare il nome di S. Erymni.  

In Archivio Vaticano avevo trovato infatti alcune relazioni ad limina provenienti da una diocesi intitolata a quel Santo, ma il cui nome oggi non si trova applicato più né per una città, né per la diocesi; e neppure per un individuo, appunto il Santo in carne e ossa. Sparita la diocesi, sparito completamente pure il nome del santo. Eppure c'è da scommettere che, se il suo nome era stato adottato per titolo d'una diocesi, colui doveva ricoprire una rilevante importanza nel calendario dei tempi trascorsi, come pure nella devozione popolare. 

Mi ero immaginato un procedimento storico-toponomastico analogo a quello di ‘Sancti Marci’, laddove il nome dell’evangelista Marco è applicato prima di tutto al centro urbano e quindi alla diocesi colà ubicata. Ma mentre la realtà ‘Sancti Marci’ era tale nel passato ed esiste tuttora, con le tre applicazioni: Individuo, toponimo e titolo diocesano, di S. Erymni (scritto anche con grafie diverse) invece assolutamente più nulla, nell'epoca attuale.

Di fronte a questo cruccio storico tanto spinoso, si capisce bene come il problema del Mattioli restava in secondo piano, come idea peregrina nella mia mente, benché ben piazzata come chiodo fisso o piuttosto come punteruolo in azione. 

Tuttavia, di tanto in tanto, non disdegnavo d'importunare il personale di Sala per domandare - sempre di sfuggita - come fosse possibile che la ristampa moderna di un’opera fosse in Riserva e il suo originale no!

Le risposte erano ovviamente abbastanza omogenee, del tipo: ‘Ha ragione lei a porsi la questione…, Dal catalogo risulta proprio così…, Non abbiamo risposta..., Bisogna richiedere l'opera’!

Il personale è soggetto ad un avvicendamento di turnazione, per cui non saprei più a quante persone abbia posto quella medesima domanda. Niente da fare! Bisognava esaminare il volume.

Ma io ero impegnato con il Santo sparito e non avrei potuto dedicare molto tempo al volume di Mattioli. Oltretutto non volevo far pesare sul personale un lavoro supplementare per pochi attimi, cioè far prelevare un’opera su cui avrei lavorato poco e semplicemente per soddisfare una banalissima mia curiosità.

Si riduceva in fondo a soggetto di biblioteconomia. Ma ripugnava pure l'ipotesi d'una distrazione attribuibile agli addetti alla conservazione, per questa anomalia della Riserva. 

Passò ancora qualche giorno e finalmente mi decisi a domandare il volume, l’11 marzo 2021 scorso. Di tanto in tanto andavo a verificare al banco di distribuzione, in attesa del suo arrivo. Finalmente comparve: in-folio, in due tomi, rilegati in marocchino. Sulla coperta, incastonata nella rilegatura, una tavola d’argento incisa o piuttosto realizzata a fusione, diversa per i due piatti. 

La preziosità di questo materiale metallico poteva già rendere sufficiente ragione a mio avviso - della sua custodia in Riserva. 

Ma non era così, perché avendo voltato la coperta, mi si presentò un breve testo in oro, inciso nel foglio di guardia, pur’esso in marocchino. Balzò agli occhi il prestigio del nome: ‘Ioannes Paulus II’ (ovviamente al genitivo) e dal tenore di ‘Ex libris’. 

Un volume di proprietà di Giovanni Paolo II richiedeva ancor di più la sua conservazione in Riserva! 

Ma a fianco, dunque nel verso del piatto, una targhetta cartacea incollata avvertiva che quelle tavole d’argento erano opera unica, eseguita da Lucovich in esemplare apposito e da lui firmate. 


BAV. Mattioli 1977, lastra d'argento del tomo I




BAV. Mattioli 1977, lastra in argento al tomo II

Fin qui il merito di questo volume per albergare in Riserva era triplice: le tavole nella coperta (in argento), la loro unicità assoluta garantita dall’incisore (scultore famoso, con propria firma), il possessore prestigioso (il papa ‘venuto da lontano’). 

Tutto spiegabile, e perciò da giudicare come evidente gaffe il fatto che il conservatore lo avesse destinato in un primo tempo al magazzino comune, nel ‘reparto medicina’. Si possono infatti vedere  ambedue le segnature, perché la prima è stata poi semplicemente annullata con tratto di matita, ma lasciata ben leggibile, accanto alla nuova.

Interviene subito un fattore inquietante: nelle parti esteriori vi sono segni di diuturna usura. Non si tratta di guasti accidentali, come quelli risultanti da lavoro di operatori maldestri o causati da una caduta per inavvertenza. Non è rotto, è usato! 

Spontanea per me la boutade: ‘Si capisce ora, perché Giovanni Paolo II preferiva non uscire dal Vaticano: si dilettava sfogliando questo librone, per scoprire le piante medicinali!’. Un assistente di sala, rispondendo a tono, confermò con brio: ‘Difatti Giovanni Paolo II conduceva vita molto sedentaria’. 

E tuttavia le curiosità o anomalie continuarono. Come si sa, un ex libris indica nota di possesso, è deciso dal proprietario, che lo arricchisce di motto o logo e si presenta o in forma di etichetta cartacea da incollare al verso delle primissime carte oppure consiste in un timbro ad inchiostro, applicato sul frontespizio. Questa volta si trova invece in un angolino del foglio di guardia, con caratteri in oro e per di più con l’epiteto di ‘Defensor pacis et libertatis’, per il possessore.

Chiaro che costui non si attribuirebbe un simile titolo, da se stesso. Dunque deve trattarsi piuttosto di un dono, ma il testo non ha per nulla carattere dedicatorio. Ci si sarebbe aspettati infatti un ‘In filiale omaggio…’ oppure un ‘Al Santo Padre…’, includendo pure tutte le varianti possibili. 

Altra difficoltà: l’anno riportato è il 1979 e si sa che Giovanni Paolo II era stato eletto il 16 ottobre 1978. Dunque, facendo un semplicissimo calcolo aritmetico, ai dodici mesi dell'intero 1979 vanno aggiunti i due e mezzo residui del 1978. In fin dei conti questa dedica potrebbe registrare un periodo minimo di pontificato di appena tre mesi, se applicato a gennaio 1979, o quello massimo, di quattordici mesi e mezzo, se impresso invece nel mese di dicembre dello stesso anno.

tuttavia neppure i mesi del livello massimo sembrano sufficienti, perché si attribuisse al pontefice la gloria di ‘Defensor pacis et libertatis’. Non aveva ancora avuto il tempo di manifestarsi. Anche per le vicende nella sua Polonia non esercitava ancora un’azione efficace e visibile ad ampio raggio, come avverrà con il sostegno a Solidarnosh e suo fondatore. Difettoso il titolo ‘ex libris’, difettoso il posto della sua affissione, sproporzionato l’elogio che si voleva attribuire al dedicatario. 

E pensando già ad un titolo per un eventuale mio studio, immaginai di poterlo articolare ad esempio: ‘Il prontuario erboristico del papa’, oppure ‘Il papa che si curava da sé’ o ancora ‘Il prediletto manuale medico del papa’.


BAV. Nuovo frontespizio creato per questa edizione 1977, 
in aggiunta a quello originale del 1568 

Domando allora al personale di Sala quando quel volume potrebbe esser giunto in biblioteca e si aggiunsero altre grane. Qualcuno, dopo aver dato un’occhiata alla schermata del catalogo di gestione interna, mi risponde: 2015! Era il momento della chiusura della biblioteca e mi allontanai abbastanza perturbato a causa di quella data. Ne veniva sfasato tutto il mio piano. Considerando gli anni 1979-2015 vi sarebbe un lasso di tempo per gli ultimi tre pontefici. 

Pensai perciò, volendo risolvere ogni evento in positivo, che avrei potuto variare il titolo in ‘La farmacopea di tre pontefici’. 

Cosa in realtà molto fittizia, perché sapevo benissimo che Benedetto XVI aveva temporeggiato per un paio di mesi nel suo alloggio provvisorio a S. Marta,  in attesa che nell’appartamento che avrebbe occupato al Palazzo apostolico si svolgessero i lavori di rinnovo, come si fa di solito. Dunque quel volume sarebbe stato trasferito nel 2005, in occasione di quei lavori. E si sa pure che papa Francesco non è mai andato ad abitare nell’appartamento del Palazzo apostolico. Quindi non avrebbe mai usato quel libro, supposto che esso fosse stato conservato lassù fino al 2015, come sembrava risultare dalla schermata citata.

Poi il 23 marzo ritornai sulla questione e l’assistente di sala di quel giorno prese molto a cuore la faccenda di quello strano libro. Mi chiese innanzitutto il modo in cui fossi giunto alla individuazione di quell’opera. 

In secondo luogo, quanto al mio studio, si interessò pure al suo punto d’approdo; chiese infatti di darne notizia a lavoro concluso. Pensai che reclamasse una copia per la biblioteca, come si richiede di prassi da ogni Ente di quel genere, quando mette a disposizione materiale di studio. 

Così per l’indomani mi premurai di portare alcuni esempi concreti di lavoretti, stampati su cartaceo, in prototipo. Ricordo che lei ne restò molto bene impressionata. Anzi poi si informò se io fossi stato anche l’autore delle foto. 

Infine, partendo verosimilmente dai dati notati sul frontespizio, si sarà inoltrata in ulteriore ricerca, e aveva scoperto che esisteva anche un Blog con quel nome. Mi chiese perciò se fossi io l’artefice di quello studio online, omologo alla testata dei volumetti e io ovviamente confermai e assentii a tutte quelle domande.

Inutile confessare che quelle osservazioni mi colmarono di immensa soddisfazione, perché si rivelavano come spontaneo suggello per il lavoro da me realizzato nel corso del tempo. Con espressione gergale si direbbe: caricò al massimo grado l'adrenalina.

La ricerca continuò nei giorni 24 e 25 marzo e fra una notizia e l’altra si giunse a delimitare di parecchio il lasso di tempo fra la data 1979 dell’ex libris e la registrazione in BAV. 

E dunque la questione si era ridotta non tanto a quando il volume fosse entrato in Biblioteca Vaticana, ma quando aveva lasciato il Palazzo apostolico.  

La scheda cartacea del catalogo riporta il numero di catalogazione, n. 239074, a firma di GC (= Gianfranco Carabellucci). Questo stesso appare registrato anche sulla carta di guardia finale in ambedue i tomi dell’opera. Nonostante la cifra mi sembrasse molto bassa, comunque la sua entrata in catalogo ruota intorno all'anno 1980.

Emerse che il volume non era rimasto per lungo tempo nel Palazzo Apostolico e che l’usura del marocchino delle sue coperte non dipendeva dall’uso che ne avesse potuto fare il papa. Cosa se ne sarebbe fatto di quelle istruzione per la salute? Anzi probabilmente il volume non era mai penetrato negli scaffali di quel palazzo. Come per tanti altri doni, il papa non vi avrà prestato molta attenzione.

Il secondo passaggio interpella riguardo a colui che ha concepito quell’opera di ristampa; era davvero convinto di far cosa gradita e meritevole offrendola al pontefice? In questo momento tralascio completamente questo punto e passo oltre, riservandomi di svilupparlo sul cartaceo.

Il terzo passo è quello più interessante. Un confronto con i racconti di guarigione nei Vangeli e l’adozione di alcune pratiche terapeutiche da parte di uomini di chiesa. Ma l'argomento non interessa il presente blog: rinviato anche questo. 

Diamo invece uno sguardo ai contenuti.

Spulciando nel Mattioli

Nell'impianto testuale di Mattioli è chiaro il metodo: presentare la teoria di Dioscoride Pedanio Anazarbei, del I secolo, e attualizzarlo ai suoi tempi, cioè nel secolo XVI. Si intende che l’obsoleto sarebbe stato eliminato. E credo che, ad un’analisi approfondita, in cui però io non mi sono addentrato, qualche caso di questo genere sarà pure rintracciabile. Ad una semplice lettura però emergono spesso delle cure davvero strane. E la sensazione è che qualche ricetta fosse improbabile per i tempi di Dioscoride, ma soggiacciono – a mio avviso – diverse improponibilità anche per l’epoca di Mattioli stesso.

Qualche esempio. 

Un tipo di epilessia era curato con ‘sottilissima polvere fatta delle zanne maestre del lupo’. Il rimedio non era suggerito da Dioscoride, perché non si trova nella sezione a lui dedicata, e nemmeno dal testo di Mattioli. Tuttavia costui la riporta come ricetta valida, affermando che gli era stata trasmessa da Giacomoantonio Cortuso e dà la netta sensazione di averla acquisita come propria. 

Vien subito da chiedersi come si potessero reperire queste zanne di lupo e in quale quantità, se si voleva soddisfare tutte le richieste dei pazienti. È evidente che si dovesse far ricorso ai cacciatori, i soli a poterne garantire l’autenticità, e confidare nella loro onestà. Chissà poi dove andavano a cercare gli animali e infine a quale prezzo rivendevano quelle zanne. C’è da immaginarsi che circolasse molta speculazione e a costo di tante burle per i poveri pazienti. 

La buona fede non bastava di certo.

Mi ricorda un po’ quella buffa promessa fatta da Casanova a quel suo amico nobile gentiluomo il quale gli aveva mostrato orgogliosamente un prezioso cimelio, che affermava gli era stato portato dall'oriente. Con profonda convinzione riteneva essere la ‘spada con cui S. Pietro aveva tagliato l’orecchio a Malco’ nel giardino del Getsemani. Casanova che non prese sul serio quel racconto, volle burlarsi di quel suo amico credulone e rincarò la dose: 'Ma ti prometto che io sarò in grado di procurarti anche il suo fodero originale'. Con l'evidente ironia di un 'povero illuso!'.

Credenze strane, a torto o a ragione, come questa delle zanne del lupo, ma si provi ad immaginare una persona obbligata ad affrontare un grave caso d'infermità, per sé o per un proprio familiare, affetto magari da malattia rara o sconosciuta! è ovvio che si aggrapperà a qualunque promessa, tanto più se essa è presentata da un nome di medico famoso. Il risultato però sarà quello di spendere tutti i suoi averi, senza trarne alcun vantaggio, come  nei vangeli si narra fosse avvenuto per l'emorroissa.

Altro caso, che non concerne direttamente la salute, ma pur'esso angosciante. 

E qui mi piace evidenziare l'associazione ad un parallelo offerto da una relazione ad limina proveniente dall'isola di Scio (o Chio), databile al 1609. Il vescovo lamentava una sproporzione di nascite fra maschi e femmine dell'ordine del 5 %. Diceva quel vescovo: 

'ogniuna (le ragazze di quell'isola greca, allora sotto dominio turco) si vol maritare per fuggire molti pericoli di turchi, et gl’huomini sono pochissimi, che dirò una cosa che par incredibile et pur è vera, sono hoggi di in Scio ducento donne Latine atte per marito, et non vi sono diece giovani per maritarsi'.

Più volte in diverse altre relazioni si può osservare questa oscillazione, tanto da sembrare una legge della provvidenza: quando vi è bisogno di forze combattenti, in tempo di crisi bellica, nascevano più maschi, con fenomeno inverso in momenti di pace. 

Ebbene a tal proposito in Mattioli è riportata una pianta, detta volgarmente 'testicolo di cane', la cui parte sotterranea è formata da due tuberi, uno più compatto rispetto all'altro. Si affermava che, per una coppia umana, mangiando quel tubero, si genererebbe un maschio e il contrario se si mangiasse l'altro tubero meno sodo. 

Vien da pensare a quante speranze siano state deluse e quante burle, o vere e proprie truffe, siano state commesse in questo campo. Bello sarebbe stato poter gestire e decidere il sesso del proprio figlio nascituro. Se questo cruccio era giunto ad assillare finanche qualche vescovo nell'isola di Chio, figurarsi i drammi nei progetti d'una coppia. E ancor di più per il potere civile, nel momento in cui aveva bisogno di braccia combattenti. 

Oggi questa pianta, appartenente alla famiglia delle orchidacee e dal nome scientifico Orchis mascula, è specie protetta e non si potrebbe più usare. 

Ma io grido ancora una volta allo scandalo per come nell'epoca della Rinascenza si gestiva la materia: si trattava di scienza medica ufficiale, stampata in poderosi volumi!



Testicolo di cane. Notare i due tuberi, di cui è composta la radice. 
Mattioli sosteneva che il genitore fosse in grado di determinare 
il sesso d'un nascituromangiando l'uno o l'altro tubero! 
!



Nome scientifico: Orchis mascula. Oggi ne è vietata la raccolta, poiché specie protetta.
Così il sesso del nascituro non è più determinato dai genitori, ma dalla Natura!

           In indice si osservano cose molto simili. 
Ad esempio per curare il mal di denti, questi alcuni rimedi (passim)

latte di fico (non specificato se dei frutti o di altre parti della pianta); 
fegato di lucertola messo fra i denti; 
spoglia di serpente cotta in aceto; 
midolla d’ossa di stinchi di lepre arrostita; 
sterco bianco di cane; 
succhio di chiocciole punte con un ago; 
fiele di lepre; 
fiele di donnola; 
carne di vipera cotta e mangiata.

Alla voce ‘Naso, flusso di sangue’, che Francesco Borsetta chiama Epistassi, un curioso rimedio suggerito da Mattioli: ‘Peli del ventre di lepre cavati dall’animale vivo e poi abbrusciati e messi nel naso’ (f. nn, ma cfr Indice voce Naso). Forse giustificabile in Dioscoride, ma abbastanza sorprendente che ne tratti ancora Mattioli nell'epoca della Rinascenza! 

Si poteva pensare che sarebbe stato agevole procurarsi questi rimedi all’occorrenza? 

E in caso si volesse creare la theriotheca, come conservarli?

Alla voce Puzzore della bocca (= alitosi), sub verbo 'Bocca e lingua', Mattioli suggerisce: ‘Oro tenuto in bocca’.

Se la lista di altre terapie presentava rimedi abbastanza plausibili, poiché si trattava ad esempio di masticare e tenere in bocca vegetali odorosi e aromatici, non si comprende cosa c’entrasse il metallo prezioso. Orienta a pensare di continuo all’effetto placebo dei rimedi suggeriti.

Qui entrano in gioco alcune credenze riguardo a questo metallo, quali ad esempio che l’assunzione di oro polverizzato fosse efficace per imbiondire i capelli. La regina Diane di Poitiers ci credette e adottò il sistema, ma – come si sa - ne restò vittima, perché la polvere col tempo si ricostituì in pepite nel suo organismo.

Alla voce Veleni, ai funghi malefichi, sempre Mattioli suggerisce: ‘Sterco di gallina preso in bevanda con aceto’. 

Ho riletto nuovamente la nota introduttiva a questa ristampa, di Francesco Barberi, e confermo che non trovo motivo serio per aver ristampato questo volume; di certo non adatto al fai da te in fatto di cura da malanni.

Medice, cura teipsum

La domanda è spontanea. Credeva il medico stesso ai rimedi che proponeva? Ecco allora l’evangelico monito: Medice, cura teipsum! che a questo punto, con un po' di forzatura, assume una ulteriore sfumatura.

L'espressione è citata come proverbiale nel vangelo di Luca (4,23) e costituisce un hapax. Di fatto è usato in metafora. In prima istanza indica qualcuno che non esegue quel che dovrebbe o almeno che il pubblico si attende. In genere avviene per trascuratezza o per avarizia. Così si dice che il calzolaio va in giro con le scarpe rotte o che il fabbricatore di candele vive al buio, perché preferisce vendere le candele e ne resta a corto per se stesso.

Nel caso della medicina, in questo caso, la sentenza è più grave perché invade il campo dell’etica. 

Nell’apparato critico di K. Aland, Novum Testamentum graece, fra le fonti antiche, non vien offerto alcun testo letterario a questa massima. Eppure quando Gesù di Nazareth pronunciò il Medice, cura teipsum, quel detto doveva essere ben noto e comprensibile a tutto l’uditorio e la applica a se stesso, come probabile obiezione del popolo che assiste alla sua predicazione

Fuor di metafora, e sulla base di Mattioli, si potrebbe arricchirla di un nuovo senso: il medico non aveva fiducia nella cura che proponeva. Bando alle esagerazioni e generalizzazioni, perché lo scopo non è di gettar fango, ma di costruire. La questione è infatti di somma importanza, perché spesso si è accusata la chiesa di oscurantismo e di essere antiscientifica. Avrebbe avuto interesse a tenere il popolo nell’oppio, o più precisamente sarebbe riuscita ad educarlo in modo che esso stesso si consolasse con l’oppio della religione. 

Ebbene va notato che questi metodi registrati qui erano accolti come ‘scienza’ medica ufficiale. Si potrebbe pure scusare il Mattioli, dicendo che ha voluto fare opera enciclopedica e ha riportato tutti i casi a lui noti, il che non comporta la sua acquiescenza. E tuttavia la sua opera era giudicata come il prontuario indispensabile ad un medico che volesse dirsi tale. 


Copertina per l'opuscolo saggio, già stampato e consegnato, 
ma in fase di ulteriore revisione 



BAV. Queste le condizioni in cui versa il Mattioli originale (Venezia 1568), 
presente in BAV (Fondo Chigi), 
e attende uno sponsor sensibile alla sua ricostituzione

Fine testo per il blog!







Sequitur

Diacronia e Sincronia. Effige tridimensionale

 di Tonino Caruso

arcbibliocaruso@gmail.com

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26 settembre 2021

Nulla di più efficace, per cogliere il senso dei termini Sincronia e Diacronia, che osservare la sezione di un albero tagliato, nel cui ceppo si possono osservare vari anelli.

Procedendo dall'esterno verso l'interno si nota prima di tutto la corteccia, in genere di colore scuro e spesso rugosa, con le debite eccezioni, come ad esempio la betulla, che presenta una corteccia liscia e bianca. Immediatamente dopo appare un largo cerchio, meglio ancora una corona circolare, di legno più tenero e piuttosto chiaro di colore, detto libro; quindi, procedendo sempre verso l'interno, altri numerosi anelli, anch'essi dalla sommaria forma geometrica d'una corona circolare, ma spesso molto irregolari fra loro.

In questo ultimo periodo ho cercato ceppi superstiti e fotografato tutti quelli che potevano offrirmi spunto per un particolare studio; me ne sono capitati di tanti tipi: pino, platano, pioppo, acacia, tiglio, bagolaro, leccio, acero, quercia; lo spettro della sezione non è omogeneo, ma varia anche secondo la specie dell'albero. 

Un fatto che li accomuna - e che dovrebbe intristire i naturalisti - è costatare che per la quasi totalità il tronco tagliato rivelava purtroppo gravi malattie alla pianta; insetti che ne avevano scavato il tronco in profondità o che presentano il nucleo estremamente indebolito. Se non caduto già da sé, quel soggetto era stato di certo abbattuto, perché ritenuto chiaramente prossimo a cadere, secondo gli occhi degli esperti. Nessun accanimento contro di essi, per buona pace degli amanti delle piante.      

Un gioco da ragazzi

In occasione dell'abbattimento di un albero, specialmente se di grandi dimensioni, si offre senza dubbio uno spettacolo singolare. Oltre al profumo della segatura che ne deriva e la freschezza delle sue particelle che sprizzano in ogni direzione, viene spontaneo contare gli anelli, cercando di definire l'età dell'albero. Da ragazzi si è entusiasti nell'effettuare questa operazione.

 

 

Roma. nei pressi di Porta Pinciana.
Una giovanissima turista incuriosita, 
in atto di contare gli anelli di un ceppo di pino 

 

Roma. Pino presso Porta Pinciana.

Difficile calcolare l'età dell'albero, 
a causa delle irregolarità delle linee
e il loro prolungato invecchiamento.
Da apprezzare comunque la curiosità della ragazzina

 

 
Altro ceppo di pino, sempre presso Porta Pinciana.
Ben distinto il primo strato dopo la corteccia,
definito libro, che è di colore più chiaro, 
rispetto agli anelli centrali

 

Lasciamo da parte il caso di un abbattimento d'albero per causa nobile; penso a quell'esemplare che i tagliatori 'han preso di mira', poiché si è rivelato molto sonoro al tocco del martelletto e sono certi che offrirà loro legno pregiato da rivendere ai costruttori di strumenti musicali. Il suo valore non è più determinato dalla sostanza legno, ma dalle sue prerogative speciali, usufruibili dopo un'accurata stagionatura del legname.

La circostanza di poter osservare, ad esempio, un'annosa quercia che, abbattuta e prostrata ormai al suolo, espande i suoi rami un po' dappertutto, con l'evitabile rottura di quelli caduti per prima e giacenti a terra e il rigoglioso ergersi verso l'alto degli altri del lato opposto, che hanno la fortuna di essere ancora illuminati dal sole. La quercia si è ormai distaccata dal ceppo da cui ha fino a quel momento tratto sostanza e vita e suscita una certa curiosità, ma anche un sentimento di tristezza e quasi di morte. 

Con la sua chioma è caduta al suolo - e definitivamente - la sua forza, il suo orgoglio, la sua esistenza.

E quel ceppo? Esso continua a restare ben ancorato al suolo, con le sue radici. Forse nella giusta stagione svilupperà all'intorno e alla base una micosi, che non si saprebbe se definire malattia o semplice sfogo alla sua energia rimastagli, e che gli umani usano approntare per la loro mensa con il nome di funghi. 

Ma potrebbe anche veder sorgere dei nuovi polloni, che potrebbero assicurare un'ulteriore esistenza. Caso abbastanza comune in alcune piante, ma più difficile per la quercia che abbiamo preso in esame; anzi è quasi impossibile. 

E i fanciulli allora a divertirsi a contare gli anelli, ad osservare il nucleo centrale, in genere di sostanza legnosa più dura e di colore più scuro. Si può osservare che gli anelli o meglio interstizi fra anelli, quella specie di corona circolare, non sono omogenei fra loro, ma ciascuno di essi potrebbe avere uno spessore diverso. Non solo, ma anche il singolo interstizio preso a sé presenta delle deformità, essendo in genere più largo in un punto, piuttosto che nell'altro. Significherà che dal lato in cui si è sviluppato maggiormente, le radici erano più robuste, il terreno più fertile oppure vi era maggior disponibilità di acqua atta a sciogliere i sali minerali di cui l'albero si nutriva. Se nelle adiacenze vi fosse una sorgente, è  naturale che da quella parte anche gli anelli saranno più nutriti. 

Nel caso si voglia conoscere la piovosità in una determinata regione, questi 'anelli' sono in grado di illuminare lo studioso, fornendo informazioni intorno alla pioggia caduta in ciascun anno. Si intende di piante cresciute spontaneamente, poiché per quelle coltivate o su cui intervenga la mano dell'uomo, i fattori saranno diversi. 

Con questa seconda operazione, dalla Sincronia, che permette di guardare con un solo colpo d'occhio tutta la serie di anelli, si passa a quello della Diacronia, che consente invece di analizzare l'intero sviluppo dell'albero e determinarne le vicende, passo, passo nel corso degli anni. 

Usata con una certa prudenza ed elasticità, è utile come Dendrocronologia. Più precisamente con questo termine si indicano i presupposti scientifici ricavabili da quel ceppo per la descrizione del territorio circostante. Affiancandovi inoltre il metodo del Carbonio 14, applicabile in quanto vegetali, si può ottenere - da quelle osservazioni da ragazzi - qualcosa di molto serio e preciso per la datazione di altri elementi, magari molto diversi, ma che presentino un'associazione con quel materiale legnoso. 

Qualche esempio di svariati alberi

Vengono presentate alcune immagini di ceppi, cui ho dedicato una certa attenzione in questo ultimo periodo. Ne vengono fornite anche le ubicazioni, e all'occorrenza anche la data di scatto, con lo scopo di fornire testimonianza dal vivo, escludendo ogni ricorso al repertorio o al disegno di immaginazione. 

Credo si possa affermare che nessuno, fra questi esaminati, sia sorto spontaneamente. Tutti dovrebbero essere stati piantati e tuttavia non si arriverebbe mai alla individuazione dell'autore di quell'operazione. Sconosciuto l'operatore, modestissima la fonte originaria: una ghianda per la quercia, un piccolo seme bruno estratto da una coccola per un cipresso, un pinolo per il Pinus pinea, il più comune nei giardini di Roma. Quello che proprio in questo periodo lascia cadere a terra i gustosi pinoli.

La prima operazione dev'essere avvenuta in vivaio: difficile pensare che si fosse svolta direttamente sul terreno. Per il momento interessa notare la sproporzione fra il punto iniziale, appunto il seme della specie, e la maestosità dell'albero cresciuto nel tempo. Se si prescindesse dall'esperienza e progredire del tempo, non si arriverebbe mai a potere associare il piccolo seme bruno con l'affascinante e appuntito cipresso ed i suoi trenta metri di altezza. Sono  completamente diverse fra loro, le due realtà, tanto da poter giustificare anche l'eventuale negazione d'un nesso fra di esse. 

Con l'esperienza, l'uomo comune e - con cognizione di causa - il botanico specialista, sanno ambedue benissimo che la connessione c'è; che la mastodontica chioma deriva proprio da quel minuscolo seme iniziale. Quell'albero si è formato gradualmente, iniziando dal piccolo seme, trattato dall'oscuro giardiniere. La Diacronia offrirebbe altri dettagli intorno al progredire della vita di quel vegetale, la Sincronia rivela, quasi a riepilogo generale, tutti i dati accumulati fino al momento del suo abbattimento. Da memorizzare per ora il concetto di Nexus, che sarà di fondamentale importanza. In questo caso dell'albero è doveroso riconoscerlo, nonostante le apparenze in contrario, per altra questione invece è necessario negarlo (il Nexus), nonostante vane - e piuttosto gratuite - affermazioni in contrario. 

 

Roma. Via Gregorio VII / S. Silverio

Pino abbattuto di recente, in cui le linee sono più nette 

 

Roma. Via Gregorio VII / S. Silverio. 

Un pino abbattuto di recente 

dalla corteccia molto spessa, tuttora intatta

 

 

Roma. Via di Selva Candida / Via Bagnasco. 

Ceppo di pino, prezioso per la sua regolarità, 

ma abbattuto già da alcuni mesi e attaccato da micosi 

 

 

 

Roma. Villa Borghese, presso Motivi egittizzanti. 

Ceppo di acacia, con chiari segni della sua malattia

 


Roma. Villa Borghese, presso Motivi egittizzanti. 

Ceppo di acacia, su cui la natura vuol riprendersi la sua rivincita.

Un pollone sorge finanche dal suo nucleo

 


Roma. Villa Borghese, presso Motivi egittizzanti. 

Anche questa acacia rivela le sue insufficienze cardiache

 

 

 




Roma. Spazio libero Via Boccea / Via Casal del Marmo.

pino abbattuto di recente, con suo nucleo fuori asse

 

 


Roma. Presso Viadotto Aurelia Antica / Leone XIII.

ceppo di pino composito di vari elementi, 

oltre al nucleo centrale

 

 

 


Roma. Villa Doria Pamphili, presso Casale di Giovio.

Ceppo di quercia abbattuta diverso tempo fa, 

con visibili attacchi da insetti

 

Roma. P.za di Villa Carpegna. 

Ceppo di pruno ornamentale,

dai bellissimi fiori rosa a primavera

e caratteristica chioma bruna in estate




Parigi. Canal S. Martin (2016). Ceppo di platano


Parigi. Canal S. Martin. 

Ceppo di platano, particolare del vuoto all'interno, uso portacenere

Ogni esemplare qui riportato costituisce un tassello per completare il quadro generale della Diacronia e Sincronia. Due categorie che si possono applicare a campi diversi rispetto a questo dell'albero e soggette  ad essere trattate sia distintamente, sia riunite insieme, se attribuite allo stesso evento.

La riflessione diventa allora ancor più interessante.  

Le Culture

Si parla spesso di Culture come complementari fra loro, quasi che per ogni valore da proporre si richieda la creazione di una nuova cultura. O che - in senso contrario - una cultura non possa includere in sé un determinato numero di valori. Il numero dei valori sarebbe insomma proporzionale al numero delle culture. Vien da considerare la questione in analogia ad una coppia umana. Due individui si percepiscono originariamente perfettamente autonomi e distinti, ognuno realizzato nella propria esistenza, magari in tutte le proprie aspirazioni.  Ad un certo punto però ciascuno dei due si scopre come 'dimezzato'. Avviene con l'innamoramento ed è fatto curioso: l'individuo che fino ad allora si riteneva completo in sé e assolutamente autosufficiente, ad un tratto si sente bisognoso di complemento. Ciò che con termine gergale si definisce 'mezza mela'. La psicologica percezione di completezza iniziale assume l'aspetto di una riduzione del cinquanta per cento. E si proclama allora con grande soddisfazione di aver individuato finalmente l'altra metà che mancava, ma di cui fino a quel momento non ci si era mai accorti. 

Così nelle diverse Culture si cerca di individuare delle ricchezze specifiche, che fanno la differenza. Per motivi davvero svariati ci si trova ad essere molto diversi e a scoprire le proprie qualità, mettendosi a confronto con l'altro finora sconosciuto. Decisamente saggio dunque il motto: 'Cercare piuttosto quel che unisce, ignorando ciò che divide'. La collaborazione e l'impegno associativo nella volontà di perseguire un fine nobile e di bene comune diventa per l'uomo un fantastico modo di impiegare le proprie energie. Non occorre spendere una parola in più, su questa argomentazione. 

Tuttavia suscita gravi perplessità il fatto che a volte le differenze di pensiero e di prassi nei gruppi, ciò che poi si identifica come Cultura, siano prodotto puramente accidentale, comunque facilmente individuabile  con la procedura della Diacronia, precedentemente accennata. Ne diamo uno specimen riguardante la storia dell'arte.

La statuetta del Buon Pastore 

Di fronte a quella scultura proveniente dalle catacombe romane di San Callisto intitolata Buon Pastore, è inevitabile una riflessione, che da semplice inizialmente si è estesa di parecchio cammin facendo. Scolpita tra il 300 e il 400 d.C., la storia non ci ha tramandato il nome dell'artista. Non è un danno, perché il suo anonimato permette di considerarla come opera della collettività. 

 

 

 

Il Buon Pastore del IV secolo

 Arte definita paleocristiana

Se il suo autore materiale ha operato con le sole due mani, e si aggiunga pure un'eventuale altra mente che l'avesse concepita in disegno o progetto, la statua è frutto di un pensiero di massa, di un senso comune. Essa rappresenta un gruppo che ha davanti agli occhi il racconto in parabola riportata dal vangelo di Luca, del pastore colmo di gioia (15,6), perché ha ritrovato quell'un per cento del suo gregge, che si era dissipato.  Non disgiunta ovviamente anche la precisa identificazione fra l'immagine di un pastore premuroso in genere e la Persona che stava interloquendo con il pubblico, affermando: 'Il buon pastore sono io' (Gv 10,11). Si tratta di una figura tipo, di pastore proprietario, e nel medesimo tempo della concretizzazione in colui che dà la vita per le proprie pecore.  

E' evidente come l'artista abbia riprodotto in immagine un concetto sacro. E lo ha fatto non su superficie piana, ma nell'espressione tridimensionale. 

Altre idee o attitudini umane erano state già raffigurate precedentemente. Si pensi a Mirone, che immortala il gesto di un atleta mentre lancia il disco, il Discobolo, o a quell'artista, pur egli anonimo, che decide di sublimare l'atto  d'un ragazzo che tenta di estrarre una spina dal suo piede, il Cavaspina dei Musei Capitolini. 


Il Discobolo di Mirone


Roma. Musei Capitolini. Il Cavaspina

E poi le grandi figure rappresentanti le divinità greche o romane o i vari temi della mitologia antica: Fidia, Scopa, Prassitele.  

E al nostro anonimo scultore si potrebbe obbiettare: quegli scultori trattavano gli dei inventati dalla fantasia degli uomini, ma sul 'sacro vero' non bisogna scherzare. Con i fanti, sì, ma non con i Santi. Parola di Mosè! 

Non si può sapere come si sarebbe giustificato quell'artista. Probabilmente avrebbe addotto il motivo che alla gente comune faceva piacere vedere rappresentata in figura plastica una semplice affermazione letteraria, riportata dal vangelo di Giovanni. E poi vi erano tanti che non sapevano neppure leggere. E se il prodotto risultava davvero artistico avrebbe indotto molti a pensieri di confidenza e fiducia. Ad ogni interlocutore avrebbe saputo dare la risposta più appropriata per tranquillizzarlo, caso mai la sua accusa fosse generata da conflitti di coscienza religiosa. 

Riformuliamo il principio: E' proibito raffigurare in immagine materiale il sacro vero.

E tuttavia costui, ha aggirato la norma d'ispirazione mosaica e ha osato rappresentare il sacro, per giunta in immagine tridimensionale, per evidenziare la plasticità che soddisfa meglio l'occhio osservatore. 

Come definire il suo gesto? Preferisco esprimerlo semplicemente come una SANA FRAUS. 

Non che egli volesse contraddire Mosè o negligere una sua norma, ben cosciente senza dubbio che 'Non un iota, non un apice passerà della legge, finché tutto sia compiuto' (Mt 5,18). Lo sapeva l'artista personalmente e lo sapeva di sicuro la massa comune di cui egli interpretava i sentimenti o voleva confermare le convinzioni. E ovviamente il fatto fu accettato e acquisito pacificamente da tutti. Se ci fosse stato qualche oppositore, non doveva certamente essere di rilievo, dal momento in cui la statuetta è sopravvissuta facilmente. Nessuna censura o disapprovazione dunque. Anzi si suppone una piena approvazione all'interno del proprio gruppo, tanto dalla base, quanto da parte dei dirigenti a capo. 

Un gruppo estraneo che poteva nuocere efficacemente esisteva, però. Erano i fedeli alla Legge di Mosè e che non avevano accettato la novità, cui avevano aderito alcuni della loro Nazione. Costoro son considerati apostoli, ma per gli aborigini sarebbero dei traditori. 

Qui è opportuno inserire un altro concetto chiave: la OCCLUSIO, che rappresenta l'atto di chiudere la porta di fronte ad un evento nuovo o indesiderato. 

Il Giudaismo, che aveva fino ad allora osservato la legge di Mosè, non se ne distaccò, non accettò la novità, non si aprì a quel che era proposto come completamento dell'antico. Operò cioè una Occlusio totale, sia nell'accoglienza della Persona, come nel resto della dottrina e infine - logicamente - di eventuali deroghe alle singole norme, ivi inclusa l'interdizione a riprodurre il sacro, che restava cosa assolutamente proibita. 

Atteggiamento pienamente giustificabile, se visto all'interno del loro mondo, ma di fronte al quale, bisogna riconoscere che colui che 'ha trasgredito' o meglio che ha operato la Sana Fraus: artista progettista, scultore, scalpellino e massa comune è rimasto incolume, lasciando ai posteri semmai un segno dei suoi devoti sentimenti, espresso in figura tridimensionale. Bisogna riconoscervi onestamente una grande abilità a sormontare e aggirare gli ostacoli. Meritevole e degno di un caloroso Bravo!

Non abbiamo dato un nome, fino a questo momento, a tali 'raggiratori' della legge mosaica. Ed è il momento di farlo, onde poter attribuire 'unicuique suum'.

Ebbene non esiste un nome preciso; essi costituiscono un gruppo sociale a tutti gli effetti: risiedono in una precisa abitazione, svolgono una determinata attività lavorativa, pagano regolarmente le imposte e rispettano l'ordine costituito. Siamo nel IV secolo, dunque si tratta di vivere secondo le norme del Diritto romano, il quale occupa tuttora un posto di rilievo nelle nostre istituzioni universitarie. Spesso anzi quello di Diritto romano si rivela l'esame più ostico per gli studenti di giurisprudenza. 

Potrebbe trattarsi di Cittadini romani, ma potrebbero pure non essere insigniti di quel titolo e occupare tuttavia un posto adeguato e attivo nell'intero tessuto sociale. 

Un epiteto che li accomuna, nonostante la differenza di nazionalità e di razza, era stato inventato nella città di Antiochia di Siria, oltre tre secoli prima. Si identificavano come 'Cristiani', aggettivazione del nome della persona cui si ispiravano e che seguivano. Tacito, con un etacismo, li tramanderà come credenti in 'un certo Cresto', e a volte si volle insinuare l'idea che lo storico latino fosse stato negligente nel tramandarne la dizione esatta, quasi con intenzione sprezzante nei confronti di quella massa, insignificante e credulona. Ma è più probabile che la grafia subisse gli effetti della pronuncia ellenizzata, per cui anche Tacito aveva in testa - e in penna - un esatto 'Cristo'. Da qui la naturale derivazione del nome di Cristiani per i suoi seguaci. 

Non volendo, ci siamo trovati di fronte, non un nome di tipo sociale, ma di palese ispirazione religiosa e tuttavia non si può fare altrimenti. Non vi sarebbe altro nome che possa accomunare tutti questi gruppi presi in considerazione: non la lingua, perché a quel tempo i più colti ne conoscevano almeno tre, fra il greco e latino di dominio ufficiale e la lingua materna, propria a ciascun gruppo; non la nazionalità, perché l'Impero romano a quel tempo si era espanso al punto che risum moveret il nostro concetto attuale di Europa, che non ha una lingua comune e neanche una moneta unica (si pensi alla sterlina), con territorio di appena un terzo, rispetto a quello dei tempi dell'imperatore Traiano, per esempio. Non potevano essere accomunati nemmeno dal concetto di classe sociale, che evidentemente era molteplice e variegata; e neppure da professione o mestiere, nemmeno a dirlo o pensarlo. 

Onde agevolare la massima inclusione, va considerato semplicemente come generico gruppo di Cristiani, estremamente composito, ubicato in vastissimo territorio, nel quale predominavano la lingua ellenistica, diffusa da Alessandro il Macedone - otto secoli prima - e quella di Romolo, imposta istituzionalmente, per ciò che riguarda la parte orientale, dal primo conquistatore Pompeo, tre secoli prima. Fra tutti sopravvissero evidentemente le espressioni linguistiche locali, indispensabili per favorire le relazioni di massa nel quotidiano, e che d'altra parte si evolvevano autonomamente e in maniera del tutto naturale. 

Riesumando ora il concetto di Diacronia già illustrato, si può fare il punto e affermare: nel IV secolo i Cristiani dimoranti nella capitale occidentale dell'impero, eludendo l'espressa proibizione della legge mosaica, rappresentano il sacro in immagine tridimensionale

Dalla parte contraria avrebbero solo i Giudei, fedelissimi a quel codice legislativo, che mai avrebbero osato infrangere. E sarebbe ingiusto non riconoscere che i Cristiani furono in ciò più lungimiranti, in quanto svilupparono e accrebbero le forme espressive dell'arte a soggetto sacro. 

A questo punto occorre chiamare in causa qualche altro gruppo, sempre per procedere nel senso della Diacronia. 

Ribadisco ancora una volta che l'adozione di tali nomi non va presa in senso teologico o cultuale, ma solo allo scopo di identificare il gruppo stesso. La mia riflessione è orientata solo ad un dato artistico, ben definito e anche limitato, che prescinde di proposito da legami con il pensiero o la pratica in fatto di religione, benché questi termini richiamino in sé un intrinseco sapore religioso. 

Altra precisazione: le denominazioni sono acquisite nell'accezione odierna, non nella loro stretta etimologia come succedeva ai tempi della statuetta e potrebbe ingenerare confusione, in quanto tutti potrebbero definirsi cattolici (=diffusi nel mondo), tutti dirsi ortodossi (= custodi del retto credo religioso), tutti potrebbero esser accusati come protestanti (= ribelli alle istituzioni) dalla parte contraria. 

Con il tempo invece questi termini servirono ad identificare i gruppi religiosi, discostandosi dal vero e stretto senso etimologico, senza insinuazioni favorevoli o sfavorevoli. Basti pensare che quello investito di maggior sospetto esiste adottato per titolo ad una nota rivista: 'Protestantesimo'. 

Ciò premesso, ritorniamo al procedimento diacronico, sempre considerando l'espressione artistica tridimensionale della nostra statuetta. 

Ad un certo punto una parte di questo gruppo, prevalentemente di lingua greca, decise di non rappresentare più il tridimensionale, ma limitarsi quasi esclusivamente all'attività pittorica, su superficie piana: soltanto icone! Famose, belle, dai colori vivacissimi e mai prive della brillantezza dell'oro nello sfondo. 

Non si cercano qui le ragioni di quella scelta, neppure si vuol giudicare la scelta stessa, ma viene spontaneo esclamare: 'Che peccato!'. Perché limitare le possibilità umane? Perché privarsi di un mezzo, che oggi si ambisce a ricreare 'faticosamente' finanche con i sistemi informatici? L'aspetto tridimensionale sullo schermo di un computer infatti dà l'impressione di aver raggiunto un obbiettivo esorbitante. Un disegno tridimensionale e una stampa tridimensionale su superficie piana, in cui è chiaro il ricorso all'illusione ottica e al senso di prospettiva, sembra una conquista! E ha un costo maggiore quando si realizza in copisteria. Mentre dall'altra parte si esclude quello che si potrebbe sperimentare tangibilmente con il senso del tatto, oltre che con la facoltà visiva. 

C'è da chiedersi in tutta onestà: 'Produce davvero, un simile atteggiamento, un reale arricchimento culturale, per cui vantarsi? 

Anzi qui occorre inserire un altro termine: DEFENESTRATIO, l'atto cioè di rinunciare a qualcosa che precedentemente si viveva come acquisito e pacifico. 

Diversa dalla Occlusio, di cui si è detto, e doppiamente Peccato!, in quanto si è vanificata pure la Sana Fraus, che era stata coraggiosamente attuata dall'anonimo scultore. Tanto se si fosse trattato di ragioni fondamentali (di tipo teologico, da cui ho detto di voler prescindere), quanto - a fortiori - se si fosse trattato di atteggiamento di ripicca contro qualcuno, giusto al fine di differenziarsi ed esser meglio identificati, il risultato non muta ed è quello che interessa qui. L'espressione artistica tridimensionale non è più contemplata dal gruppo sociale passato alla storia con il nome di Ortodossi. Mi pare permanga qualche deroga per il Crocifisso, che a volte capita di veder presente in alcune loro chiese.

Più tardi sorgerà la corrente dell'Islam. Anche qui non sto a preoccuparmi di precisare in dettaglio il momento preciso delle loro singole decisioni, che si sono accresciute con il passare del tempo. 

Ma anche in questa occasione il gruppo rinuncia ad un elemento culturale, opera insomma una Defenestratio, questa volta non solo del tridimensionale, ma anche del pittorico, involvendo verso la legislazione mosaica. Ripeto ancora che non tratto degli argomenti cultuali o mistici, ma solo l'espressione culturale artistica. Scoprire una ragione plausibile di questa rinuncia, qui mi è ancor più difficile, perché probabilmente non si potrà risalire ad una fonte scritta sicura per questo orientamento. 

Infine poniamo l'attenzione sul quarto gruppo, accomunato con generico termine di Protestanti, ma da specificare ulteriormente, se si vuole essere più esatti. Non sarei in grado di citare una fonte di loro decisioni, né fornire una data precisa, perché non è questo il mio scopo. Ma sta di fatto che, escludendo dal loro Credo e devozione la Vergine Maria e i Santi, resta davvero poco da rappresentare in immagine, sia pittorica che tridimensionale. Anche qui da registrare dunque una limitazione alle espressioni culturali. Che peccato! 

Fin qui quattro gruppi, Giudei, Ortodossi, Islamici e Protestanti, i quali ob occlusionem o per defenestrationem, rinunciano ad una più completa espressione artistica. 

Gli unici ad includere il tridimensionale restano i Cattolici, che tuttavia non possono assolutamente essere classificati  né fra gli ultimi, né fra i primi. E non potrebbero nemmeno attribuirselo come un merito, perché non sono stati i Cattolici a creare l'immagine tridimensionale del Buon Pastore. 

Poco importa se oggi sia custodita in luogo gestito da Cattolici. Le origini della statua rimontano ai tempi in cui la suddivisione in gruppi non era avvenuta. Nella Sincronia del IV secolo vi erano solo Cristiani; nella Diacronia, gli altri gruppi creatisi successivamente abdicarono facilmente a quell'idea originale e solo quel che si definì Cattolicesimo ne resta custode geloso. 

Il Mosè, la Pietà, l'organo a canne

E' evidente come nella Sincronia del tempo di Michelangelo, la possibilità di creare immagini tridimensionali era prerogativa del Cattolicesimo. Se quell'artista toscano fosse, per credo religioso,  appartenuto a uno degli altri quattro gruppi qui presi in considerazione, sarebbe stato certamente frustrato nella sua genialità artistica e non avrebbe mai potuto creare quelle sue opere d'arte. Avremmo avuto  forse un Michelangelo abilissimo commerciante o solerte impresario, in grado pure di arricchirsi adeguatamente: non di certo il pittore o lo scultore che fu di fatto. 


Roma. Due capolavori romani

Procedendo nella serie dei 'se' e delle occlusiones e defenestrationes, possiamo includere altri risvolti della Diacronia. Si sa che i Certosini, fondati da S. Bruno di Colonia, non hanno accolto l'organo a canne nelle loro chiese, con la motivazione che ai tempi di S. Benedetto quello strumento non esisteva o piuttosto non era d'utilizzo così diffuso e di struttura complessa come diventò in seguito. Si dà però il caso che proprio a Subiaco, nel Sacro Speco, laddove S. Benedetto ha raffinato la sua spiritualità individuale e monastica, è istallato un grazioso organo a canne, i cui elementi sonori fanno bella figura fra le rocce della grotta, mentre nelle fondazioni successive di un ordine religioso che si ispira a quel patriarca del monachesimo ciò non è possibile. Una chiara Occlusio, in ambito monastico cattolico! 



Roma. S. Giovanni in Laterano. Organo storico del transetto,
con registri molto antichi

E sembra davvero una beffa della storia, della liturgia e dell'espressione culturale! 

Più giustificati in un certo senso Giudei, Ortodossi e Islamici, ma si fa per dire, poiché anche in questo caso si tratta di espressione artistica acustica, ma la loro reticenza, pur con qualche eccezione (come Budapest, nella cui sinagoga è installato un prestigioso organo), si comprende per il loro desiderio di differenziarsi dall'uso praticato da altri.

L'organo non è stato tuttavia defenestrato dai Protestanti Luterani, come suggerivano i Protestanti di Zurigo. Per fortuna dell'Orbe! Se nella S. Thomaskirche di Leipzig non ci fosse stato l'organo, infatti J. S. Bach non avrebbe avuto modo di esprimere il suo talento e si sarebbe dovuto dedicare probabilmente al commercio o all'imprenditoria, come supposto per l'omologo Michelangelo. Oppure avrebbe dovuto rinnegare il suo Credo, esulare dal gruppo e approdare a quello opposto. E sarebbe stato accusato di tradimento! non solo, sarebbe forse rimasto perennemente frustrato nella sua coscienza e non avrebbe avuto lo stimolo a produrre tanta musica per sostenere le funzioni sacre.

Nella Sincronia dei nostri giorni, i cinque gruppi esaminati, e solo riguardante una semplicissima questione di espressione artistica, si trovano differenziati per ragioni che la Diacronia non riesce ad illustrarci adeguatamente. Ci si appella al fenomeno di incrostazione storica, che si eredita inconsciamente e impercettibilmente. 

Eppure è davvero paradosso e un controsenso per la storia il fatto che, di fronte ad un argomento come questo: 'Soggetto sacro da tradurre in immagine tridimensionale', solo  per i Cattolici vi sarebbe possibilità di alzar la mano!

Si tratta in fondo del risultato per avere molto spesso opposto una Occlusio o effettuato una Defenestratio, per cose, che di secondaria importanza assolutamente non sono.


Sequitur